Il rally dell’euro è agli sgoccioli, e ora?

Secondo gli esperti sarà molto difficile che l’euro continui a salire nei confronti del dollaro, soprattutto con una vittoria di Trump. Ecco come proteggere il portafoglio dai movimenti valutari.

Valerio Baselli 10/10/2024 | 09:27
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Dopo il rally vissuto negli ultimi due trimestre, negli ultimi mesi dell’anno si prospettano delle sorprese per quanto riguarda il cambio EUR-USD.

Tra aprile e settembre, l’euro si è rafforzato rispetto al dollaro americano, salendo fino a quota 1,12 da 1,06. “Le ragioni del rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro USA sono molteplici, forse la più importante è il rallentamento dell'economia statunitense”, commenta Tomasz Wieladek, Chief European Economist di T. Rowe Price, intervistato da Morningstar.

“L'inflazione più vischiosa e la crescita debole erano già presenti nei prezzi di mercato in Europa. In seguito, i dati del mercato del lavoro statunitense hanno iniziato a raffreddarsi e il prezzo del petrolio ha subito un calo significativo. Questi fattori hanno permesso alla Fed di tagliare di 50 punti base a settembre e ai mercati di prezzare un gran numero di tagli fino alla fine del 2025”, continua Wieladek. “In sostanza, i mercati finanziari prevedono la possibilità di una recessione degli Stati Uniti nel prossimo anno. Pertanto, da aprile in poi si è trattato più di una preoccupazione per la debolezza del dollaro che per la forza dell'euro”. 

Per Claudio Wewel, FX Strategist di J. Safra Sarasin, “a partire dalla seconda metà del 2023, il tasso di cambio EUR-USD si è più o meno allineato al rendimento dei Treasury statunitensi a 10 anni. I rendimenti obbligazionari statunitensi sono scesi bruscamente negli ultimi mesi, fornendo nuovi impulsi all'euro”, dice in un’intervista.

L’euro potrà continuare a salire anche nel quarto trimestre?

Ora, però, occorrerà fare i conti con le posizioni di Federal Reserve e BCE. Entrambe le banche centrali hanno avviato il loro ciclo di allentamento monetario, ma la velocità e la decisione con le quali procederanno sono ancora tutte in discussione.

L'inflazione sta scendendo su entrambe le sponde dell'Atlantico, ma il mercato si aspetta che la Fed si muova in modo un po' più aggressivo sulla via della discesa dei tassi, e questo chiude un po' i differenziali e lascia spazio a un euro più forte.

“Le aspettative sui tassi statunitensi si sono riprezzate in misura significativa e non riteniamo che lo stato attuale dell'economia americana giustifichi tagli più consistenti di quelli già prezzati”, afferma Claudio Wewel. “Di conseguenza, non crediamo che ci saranno ulteriori spinte all'euro dal lato della politica monetaria. A nostro avviso, è più probabile che il mercato si concentri nuovamente sulle dinamiche cicliche relative, che sono rimaste deboli nell'area dell'euro secondo i recenti indicatori di attività. Questo suggerisce che l'EUR-USD dovrebbe scendere nel breve termine”.

Trump Vs Harris, conseguenze per il dollaro

Secondo Tomasz Wieladek “molto dipenderà da chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti”, visto che “al momento, c'è una grande incertezza sulla futura politica economica negli USA”. Le politiche di Donald Trump, ad esempio, prevedono un aumento dei dazi e una diminuzione delle tasse, il che probabilmente porterebbe un aumento dell’inflazione e di conseguenza un rafforzamento del dollaro.

“La mia previsione – afferma il capo economista di T. Rowe Price – è che, se il presidente Trump verrà eletto, il cambio euro/dollaro si assesterà probabilmente a 1,05. In caso di vittoria di Harris, invece, ci assesteremo a 1,15”.

Per James Stanley, senior strategist di Forex.com, il cambio EUR-USD è invece sopravvalutato. “Credo che la debolezza del dollaro, che è stata piuttosto profonda nei primi due mesi del terzo trimestre, sia stata determinata in larga misura dall’apprezzamento dello Yen giapponese nei confronto del biglietto verde, il che ha contribuito a sostenere l'EUR-USD in quanto abbiamo assistito a un'estrema debolezza dell'USD”, Stanley scrive in un’analisi del 2 ottobre.  

1,12 è storicamente un livello alto e in effetti da qui in avanti l’euro non sembra avere ancora molto spazio di crescita rispetto al dollaro. Gli analisti di Commerzbank, ad esempio, prevedono che l'euro si attesti a 1,11 dollari entro la fine dell'anno. ING lo vede a 1,12 dollari tra un mese prima di scendere a 1,10 dollari e BofA prevede 1,12 dollari entro fine anno.

“Il consenso si sta rapidamente accumulando intorno a un taglio dei tassi della BCE in ottobre”, scrive Francesco Pesole, FX strategist di ING in una nota pubblicata il 3 ottobre. “L'euro non può più contare su un differenziale dei tassi a breve termine favorevole, e un gap del tasso swap a 2 anni EUR/USD a -110 pb è coerente con un ritorno di EUR/USD a 1,100, o leggermente al di sotto”, afferma l'analista.

Gli effetti di un euro più forte o più debole

Un euro più forte potrebbe danneggiare le principali industrie europee, che si basano tutte sulle esportazioni. Questo vale in particolare per l'industria automobilistica, che deve far fronte a una forte pressione competitiva da parte della Cina. Tuttavia, un euro più forte fa sì che anche i consumatori aumentino il loro reddito disponibile.

In tale scenario, secondo Tomasz Wieladek, “gli investitori dovrebbero puntare su aziende europee orientate al mercato interno e focalizzate sui consumatori”.

Detto ciò, Wewel si mostra scettico su un tale scenario: “probabilmente l'euro non vedrà grosse spinte dal lato del cambio nel 2025. Ci aspettiamo che la traiettoria EUR-USD rimanga piuttosto piatta. Secondo le nostre previsioni, nel prossimo anno la maggior parte dei Paesi sviluppati registrerà una crescita superiore a quella della zona euro”.

Come gestire in portafoglio le fluttuazioni valutarie

I movimenti dell’euro rispetto alle altre valute hanno un chiaro effetto sugli asset detenuti da investitori dell’eurozona e denominati in valute estere (così come specularmente ce l’ha sugli asset denominati in euro e detenuti da investitori che ne stanno fuori). Nella maggior parte dei casi, i movimenti valutari e i rendimenti sono correlati positivamente, quindi il rischio valutario di solito aumenta la volatilità.

Ad ogni modo, il rendimento dei titoli stranieri è dato dalla performance di mercato che, però, deve essere corretta con l’andamento della moneta estera rispetto alla divisa locale. E questo può marcare una differenza importante. Sostanzialmente, se il denaro straniero si apprezza contro la valuta locale, l’effetto sarà positivo, in quanto gli attivi denominati in altra currency acquisteranno valore solo per la spinta del mercato Forex. Al contrario, se la moneta locale (per noi l’euro) dovesse rafforzarsi, questo fatto da solo avrebbe un effetto negativo sugli asset esteri. 

Ovviamente, il calcolo diventa ancor più complesso quando nello stesso paniere si trovano asset denominati in diverse valute straniere, come ad esempio è il caso nei fondi azionari globali.

Per chi volesse evitare di dover pensare anche ai movimenti valutari – oltre a quelli dei mercati finanziari – un buon numero di fondi comuni ed ETF offre una classe hedged, cioè con copertura del rischio di cambio, la quale mira a neutralizzare il più possibile il rischio valutario sui rendimenti finali. Di seguito, a titolo di esempio, le differenti performance dell’ETF di Invesco sullo S&P 500 dal 2020 a oggi.

Tuttavia, l’hedging non è mai perfetto e come dimostra anche la tabella precedente non si deve fare l’errore di credere che il rendimento coperto dal rischio di cambio coincida perfettamente col rendimento in valuta locale. Innanzitutto, perché c’è sempre una commissione più alta da pagare.

Alla luce di tutto ciò, per la maggior parte degli investitori retail, l’opzione senza copertura rimane forse la soluzione più semplice, soprattutto quando si ha un orizzonte di lungo periodo e nel caso di fondi globali in cui vi siano molte valute sottostanti che potenzialmente si muovono in direzioni diverse. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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