Valerio Baselli: Buongiorno e benvenuti. Il 10 settembre scorso Mario Draghi presentava a Bruxelles il suo rapporto sulla competitività europea. Si è discusso molto di questo rapporto, in cui Draghi opera una diagnosi impietosa dello stato dell’economia europea e in cui propone anche delle soluzioni.
Ecco, oggi sono in compagnia di Carlo Benetti, market specialist di GAM Italia SGR, per cercare di capire se questa agenda Draghi europea possa avere ripercussioni concrete su mercati e investitori.
Dott. Benetti, nella sua analisi, Mario Draghi mette in luce diverse problematiche, ma sottolinea soprattutto come l’Europa sia ancora indietro dal punto di vista tecnologico rispetto agli Stati Uniti. Qual è secondo lei il problema principale – o i problemi principali – su cui si dovrebbe intervenire con più forza da questo punto di vista?
Carlo Benetti: Beh, innanzitutto ricordiamo che il rapporto Draghi arriva in un momento di forte difficoltà dell'economia europea e non è una difficoltà di natura ciclica, ma è una difficoltà, è una crisi strutturale e in crisi strutturale è il modello di sviluppo della Germania, il primato nella meccanica, nella chimica, nell'automotive. E ha sortito una sorta di ottundimento della capacità di leggere i fenomeni, i fenomeni di lungo termine, per cui la manifattura tedesca è di fatto la manifattura europea è stata superata a destra dall’avanzamento tecnologico e nell'automotive da all'elettrico dai competitor cinesi e americani.
Ora il rapporto, lei lo ha ricordato, è senza sconti. La terapia è impegnativa. Vengo al cuore della sua domanda. Sono almeno due le aree, a mio avviso di intervento e l'una è indispensabile, la precondizione dell'altra. Quindi la politica: mancano regole condivise, mancano le armonizzazioni normative, mancano le armonizzazioni finanziarie. Un mercato dei capitali comune, indispensabile premessa per affrontare la seconda questione, quella della spesa in ricerca e sviluppo, soprattutto tecnologico, che oggi è ampiamente inadeguata. Come dice il rapporto, noi siamo indietro di 270 miliardi di investimenti rispetto agli Stati Uniti.
Baselli: Ecco parlando proprio di questo punto della maggiore integrazione,Mario Draghi tra le altre cose auspica una difesa comune, una maggiore integrazione dei mercati nazionali, maggiori poteri all’ESMA e l’unione bancaria. Ecco, guardando in questi ultimi giorni la reazione piuttosto ostile del governo tedesco riguardo la vicenda Unicredit-Commerzbank, verrebbe da dire che a oggi gli interessi nazionali siano ancora quelli più sentiti. Lei cosa ne pensa?
Benetti: Che purtroppo è così. Purtroppo è così. Sono passati molti anni, ma quella denuncia di Carlo Azeglio Ciampi di trent'anni fa conserva tutta la sua forza. La distanza tra unione monetaria e unione politica, ancora oggi inadeguata. Ecco, Ciampi parlava di zoppia, di cui tutta l'Europa porta la responsabilità. Alla moneta unica, che è stato un fatto federativo, non si è accompagnata una politica federativa europea. Ecco Draghi sembra raccogliere in termini proprio politici – ed è curioso che sia un tecnico prestato alla politica a fare una elaborazione sofisticata di pensiero politico – raccoglie il lascito di Ciampi ed esorta a proseguire verso quella che viene definito una ever closer union, cioè un'unione sempre più sempre più stretta, almeno in quei campi specifici attraverso i quali passa non dico il protagonismo, ma almeno la non irrilevanza europea rispetto a Stati Uniti e Cina. Energia, tecnologia, difesa.
Baselli: Nel piano Draghi si parla anche di innovazione e di start-up, in particolare dell’iper-regolamentazione europea che soffoca la nostra capacità di innovare. Dunque, se guardiamo ai Magnifici 7 americani sono tutte aziende tecnologiche, innovative, nate piuttosto recentemente. Secondo lei, potremmo mai vedere anche noi in Europa delle storie come quelle dei Magnifici 7?
Benetti: Il punto chiave l'ha detto lei: quelle grandi società sono tutte società nuove. Allora, non rispondo io faccio rispondere ai numeri, ai fatti. Queste magnifiche sette lei lo ha appena ricordato sono state costituite negli ultimi anni negli ultimi decenni: in Europa non c'è una sola società con una capitalizzazione superiore ai 100 miliardi di euro, di dollari mal contati, costituita negli ultimi cinquant'anni.
Andiamo a prendere le società europee storiche di grande di grande capitalizzazione: la maggiore capitalizzazione in Europa è una società che vale 520 miliardi di dollari, la più piccola delle magnifiche sette Tesla ne vale capitalizza 800 miliardi di dollari. La più grande è Apple e vale quasi sette volte la più grande europea. Ma dove andiamo con queste con queste dimensioni? Proprio per quei ritardi del rapporto Draghi che lei ha ricordato nella domanda.
Baselli: Per chiudere, dal punto di vista di un investitore italiano/europeo, che tipo di conseguenze potrebbe avere sui mercati o su alcuni settori specifici tale politica se implementata? O al contrario se non implementata?
Benetti: Per l'investitore le prospettive sono positive. Intanto a prescindere dal rapporto Draghi l'associazione delle imprese tedesche, la Confindustria tedesca, stima che il rafforzamento della base industriale nei prossimi anni dovrebbe assorbire investimenti per qualcosa come un miliardo e mezzo di euro. Senza riforme, senza investimenti, la Germania rischia un ulteriore impoverimento, una deindustrializzazione, un declino della piccola e media impresa che in Germania come da noi, costituisce la spina dorsale della dell'economia.
Il rapporto Draghi è un programma di governo, propone una politica industriale europea coerente. Offre tra l'altro alla Germania l'occasione di ripensare il modello di crescita e fa leva su alcune tendenze strutturali che sono già in atto. Ne ricordo due rapidamente: la transizione energetica - l'obiettivo dello zero netto è uno dei motori centrali della futura crescita economica - Draghi sottolinea la necessità di perseguire gli obiettivi del Green Day con innovazione, reindustrializzazione, rafforzamento, e l'altro il ritardo l'abbiamo ricordato in questa conversazione nella tecnologia. La necessità di investimenti massivi: campioni europei nella produzione di semiconduttori ci sono, quindi anche la tecnologia, l'intelligenza artificiale in Europa assorbirà anche ingenti investimenti, per cui sono tendenze che sono come lenti attraverso le quali l'investitore legge il prossimo futuro. Sono occasioni per l'investimento nelle azioni europee.
Baselli: Bene, almeno chiudiamo su una nota ottimistica.Grazie ancora a Carlo Benetti. Per Morningstar, Valerio Baselli, alla prossima.
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