La Cina ha problemi più grossi di Trump

Gli investitori navigano acque agitate tra l’economia interna cinese e una possibile nuova guerra commerciale con gli USA. Ma questa volta potrebbe essere diverso.

Valerio Baselli 14/11/2024 | 11:26
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Cosa succederà ora con la Cina? È probabile che la maggior parte degli investitori internazionali si sia posto questa domanda – assieme ad altre – all’indomani della vittoria elettorale di Donald Trump lo scorso 6 novembre.

Proprio nel momento in cui il mercato azionario cinese mostrava segni di risveglio grazie al rinnovato interventismo governativo (il Morningstar China Index ha guadagnato il 23% negli ultimi tre mesi - in euro, all'11 novembre), Pechino cade sotto la minaccia di una nuova guerra commerciale con gli Stati Uniti.

I gestori di fondi che si occupano della regione analizzano le conseguenze per gli investitori e le probabili reazioni della Cina.

Domande chiave per gli investitori in Cina:

  • Il secondo mandato di Trump sarà una replica dell’ultimo?
  • La Cina lancerà altri stimoli e quando?
  • Le azioni cinesi sono ora più rischiose?
  • Continueranno i deflussi azionari dalla Cina?

Per oltre tre anni, il mercato azionario cinese ha ampiamente sottoperformato i mercati finanziari globali, compresi quelli di altri mercati emergenti.

Di conseguenza, i titoli cinesi sono scambiati a valutazioni convenienti che non si vedevano da circa un decennio. Secondo i dati del CEIC, il rapporto prezzo/utili della Borsa di Shanghai è ai minimi dalla fine del 2015. Inoltre, secondo il Global Market Barometer di Morningstar, le azioni cinesi sono attualmente sottovalutate del 18% rispetto al fair value dei titoli coperti dagli analisti di Morningstar.

Guerra commerciale USA-Cina, atto secondo

Trump ha promesso dazi del 60% o più su tutto ciò che è prodotto in Cina nel tentativo di proteggere l’industria e i posti di lavoro americani. “Pensiamo che la richiesta di dazi del 60% possa essere un punto di partenza per i negoziati piuttosto che un numero fisso”, afferma Lynn Song, Chief Economist Greater China di ING, in una nota pubblicata il 6 novembre.

“La prima guerra commerciale ha visto una tregua dopo un accordo da parte della Cina per aumentare le importazioni di beni agricoli statunitensi - continua Song - Ci sono due strade per ridurre il deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina: o ridurre le esportazioni cinesi negli Stati Uniti o aumentare le importazioni cinesi di beni statunitensi. Considerati i rispettivi impatti sull’inflazione e sulla creazione di posti di lavoro, presumiamo che quest’ultimo sia un risultato gradito all’amministrazione Trump”.

“La vittoria di Trump è considerata negativa per l’economia cinese”, ha dichiarato in un’intervista a Morningstar Sandy Pei, Senior Portfolio Manager Asia ex-Japan di Federated Hermes. “Tuttavia, la riorganizzazione della catena di approvvigionamento è già avvenuta: le aziende cinesi hanno creato basi produttive al di fuori della Cina, soprattutto nel sud-est asiatico, nell’Europa orientale e in Messico, e alcune aziende possiedono capacità anche negli Stati Uniti”.

Pei ritiene che “c'è anche spazio per un certo deprezzamento della valuta cinese, anche se limitato, dato che il governo è intenzionato a garantire la stabilità”, e che “una parte del peso dei dazi sarà condiviso coi consumatori finali”. Tuttavia, nel complesso “l’impatto netto dovrebbe essere gestibile”.

Allo stesso tempo, Song ritiene che “i dazi non saranno introdotti prima del terzo trimestre del 2025, forse anche del primo trimestre 2026, il che potrebbe significare che l’impatto sulle prospettive dello yuan cinese nel 2025 potrebbe finire per essere relativamente limitato”.

Stimoli, Pechino ha altri assi nella manica

Gli investitori hanno reagito con freddezza al primo pacchetto di stimoli monetari annunciato dalle autorità cinesi a fine settembre. “Siamo in una tipica trappola della liquidità”, ha dichiarato Erik Lueth, Global Emerging Market Economist di Legal and General IM, nel corso di una video intervista con Morningstar, “e non pensiamo che, nella fase in cui ci troviamo, questo possa risolvere il problema”.

Per questo motivo, la scorsa settimana la Cina ha presentato un pacchetto di debito da 10.000 miliardi di yuan (1.400 miliardi di dollari) per alleviare le difficoltà di finanziamento delle amministrazioni locali e stabilizzare la crescita economica.

“Sebbene l‘entità di questo programma sia all’altezza delle aspettative dei mercati, è quello che le autorità non hanno detto che è davvero importante”, afferma Justin Thomson, CIO e Head of International Equities di T. Rowe Price, intervistato da Morningstar. “Non si è parlato dell’acquisto di immobili invenduti o di stimolare i consumi. La conclusione - dice - è che la Cina non è disposta ad anticipare alcuna mossa sui dazi e si sta tenendo pronta per il nuovo anno”.

Negli ultimi mesi, un’argomentazione comune è stata che una vittoria di Trump e lo shock percepito da ulteriori dazi avrebbero portato a una risposta di stimolo più aggressiva da parte della Cina per compensare la probabile perdita di esportazioni.

“Il problema principale della Cina non è Trump, ma l‘economia interna“, afferma Sandy Pei. ”Un cambio di direzione politica è sicuramente positivo e ci vuole tempo per vederne i risultati. Il governo ha sottolineato che c’è spazio per ulteriori stimoli e crediamo che farà tutto il necessario per stabilizzare l’economia". Un contesto di tassi più bassi al di fuori della Cina e una bassa inflazione interna, se non addirittura una deflazione, lasciano spazio a un ulteriore allentamento".

Pei si aspetta anche che il governo “sperimenti alcune riforme, come il rafforzamento del sostegno sociale e l’abbreviazione dei pagamenti ai fornitori di progetti governativi, per ripristinare la fiducia dei consumatori e delle imprese”.

“A nostro avviso - afferma Lynn Song - le probabilità di un pacchetto di sostegno politico più ampio aumenteranno, anche se non è detto che venga annunciato immediatamente. Gli alti funzionari hanno segnalato più volte che la PBOC è pronta e in grado di allentare ulteriormente la politica se necessario”.

Le azioni cinesi sono ora più rischiose?

La prima reazione del mercato azionario cinese alla vittoria di Trump ha mostrato una modesta pressione sui flussi di capitali. Secondo i dati Morningstar, nella settimana successiva alle elezioni statunitensi (5-12 novembre), gli investitori globali hanno ritirato 1,1 miliardi di dollari dai fondi comuni che investono in azioni cinesi.

“Il calo maggiore registrato dall’indice Hang Seng rispetto agli indici onshore indica che gli investitori stranieri tendevano a preoccuparsi più di quelli nazionali dell’impatto di una vittoria di Trump sulle aziende cinesi”, commenta Lynn Song.

Gli asset cinesi sono stati sottopesati da molti investitori globali e una vittoria di Trump potrebbe essere un catalizzatore per un’ulteriore flessione e una continuazione della tendenza al de-risking, soprattutto se dovessero essere adottate misure per scoraggiare o vietare gli investimenti statunitensi nelle aziende cinesi. Tuttavia, Song ritiene che “i catalizzatori interni della Cina, tra cui l’imminente entità e l’efficacia delle politiche di stimolo, dovrebbero svolgere un ruolo maggiore rispetto all’esito delle elezioni statunitensi”.

“La vittoria di Trump non cambia le nostre prospettive per i titoli cinesi”, spiega Sandy Pei, “il mercato ha già scontato i continui rischi geopolitici”. I gestori di Federated Hermes ritengono che le prospettive attuali rimangano incerte, ma che il Paese si trovi in una fase di necessaria transizione piuttosto che in un declino a lungo termine. Restano ottimisti sul fatto che la Cina possa trasformare con successo la propria economia, anche se ci vorrà tempo e non sarà indolore.

Nel breve termine, “le politiche di Trump potrebbero influire negativamente sugli esportatori che competono in settori che hanno concorrenti consolidati negli Stati Uniti”, afferma Pei. “Tuttavia - aggiunge - potrebbero trarne vantaggio i sostituti nazionali nei settori della tecnologia, della sanità e dei consumi di fascia alta, così come le aziende manifatturiere leader con una catena di fornitura al di fuori della Cina, che potrebbero trarre vantaggio da un più rapido consolidamento del settore”.


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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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