L’euro si trova di fronte a un percorso incerto dopo che i precedenti guadagni del 2024 sono stati annullati sulla scia della vittoria elettorale di Donald Trump.
Tra aprile e settembre, l’euro si è rafforzato rispetto al dollaro USA, salendo fino a 1,12, spinto dalla percezione che la Federal Reserve avesse più spazio per tagliare i tassi di interesse rispetto alla Banca Centrale Europea. Inoltre, l’aumento del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti a livelli che facevano presagire una potenziale recessione ha portato a un periodo di debolezza per il biglietto verde in agosto.
Da settembre, però, i dati economici hanno confermato la forza del mercato del lavoro, dei consumi e della crescita degli Stati Uniti. Anche il rimbalzo di Donald Trump nei sondaggi nelle settimane precedenti alle elezioni ha rafforzato il dollaro, in quanto gli investitori hanno iniziato a scontare l’impatto di dazi, tagli fiscali e deregolamentazione.
Cosa significa Trump per il dollaro
Quando poi la vittoria di Trump si è concretizzata, l’euro è sceso ai minimi di un anno a 1,04 dollari. “Il rafforzamento dopo la vittoria di Trump è prevalentemente legato all’anticipazione di un aumento dei dazi, come dimostrano i movimenti relativi non solo contro l’euro, ma anche contro il renminbi, il peso messicano e il dollaro canadese”, afferma Teresa Gioffrida, Investment Strategist di UBS AM, che però precisa: “Riteniamo che alcune dichiarazioni abbiano più l’intento di avviare negoziati e indichino che Trump è disposto a usare le minacce tariffarie anche per promuovere obiettivi non commerciali”.
L’euro potrebbe anche salire nel 2025
“Il dollaro americano è estremamente sopravvalutato rispetto ai principali Paesi sviluppati, al di fuori dello yen giapponese, e al momento i mercati hanno fortemente ridotto le aspettative sui tagli dei tassi della Fed”, spiega inoltre Giuffrida. “Questo comporta un elevato rischio di inversione, soprattutto in caso di dati di crescita particolarmente deboli, che però al momento non è il nostro scenario centrale”.
Anche Mark Haefele, chief investment officer di UBS Global Wealth Management, vede un potenziale indebolimento del dollaro: “Nel breve termine, diversi fattori potrebbero sostenere la forza del dollaro, tra cui i tagli fiscali e la deregolamentazione che attirano afflussi di capitale nei mercati statunitensi”, spiega a Morningstar. “L’economia statunitense appare più forte di altre, ma l’attuale valutazione del dollaro sembra eccessiva. Le preoccupazioni per il deficit di bilancio potrebbero indebolire il dollaro nel corso dell’anno. Prevediamo un indebolimento del dollaro entro la fine del 2025 e suggeriamo agli investitori di sfruttare i periodi di forza del biglieto verde per diversificare”, afferma Haefele.
“Nel breve termine non ci aspettiamo un forte apprezzamento del biglietto verde”, spiega in un’intervista a Morningstar Peter Kinsella, Global Head of Forex Strategy di UBP. “L’opinione di consenso secondo cui l’EUR-USD si muoverà verso la parità (e al di sotto) è probabilmente errata perché non ci sono le condizioni per una rottura sostanziale al ribasso. Storicamente, il declino dell’euro verso e sotto la parità si è manifestato in occasione di un forte shock della bilancia dei pagamenti, il che non è all’orizzonte per il momento”.
Raphael Olszyna-Marzys, economista internazionale di J. Safra Sarasin, vede il dollaro “intorno ai livelli attuali per la maggior parte dell’anno, operando essenzialmente in un range ristretto”. A suo avviso, il biglietto verde “è già prezzato a un livello elevato, quindi è improbabile che subisca un altro forte rialzo, ma allo stesso tempo ci sono poche ragioni per indebolirlo”.
L’economista parla di un rapporto euro-dollaro di 1,05 entro la metà del 2025, mentre Haefele di UBS GWM prevede un euro significativamente più forte, con un tasso di cambio euro-dollaro di 1,08 nel marzo 2025, 1,09 nel giugno 2025 e 1,12 nel dicembre 2025.
Una BCE più dovish nel 2025
Olszyna-Marzys prevede una BCE molto più dovish rispetto alla Fed. “Ci aspettiamo che l’inflazione complessiva nell’area dell’euro continui a scendere, dal 2,5% al 2%, mentre negli Stati Uniti si muoverà lateralmente, intorno al 2,5-2,6%”, spiega l’economista. “Ci aspettiamo che la BCE tagli il tasso di deposito di 150 punti base nel corso del prossimo anno, portandolo all'1,75%. A nostro avviso, la Fed effettuerà solo 75 punti base di tagli dei tassi da qui alla fine del prossimo anno”.
Ciò lascerebbe i tassi d’interesse statunitensi, che quest’anno non sono scesi così tanto come quelli della BCE, ancora più alti rispetto all’Eurozona. Tassi più alti tendono a migliorare l’attrattiva di una valuta, attirando flussi speculativi in cerca di maggiori rendimenti.
Peter Kinsella dell’UBP ritiene inoltre che “la BCE potrebbe essere giustificata a tagliare i tassi più rapidamente nel breve termine per compensare la debolezza dell’attività e la flessione dell’inflazione prevista per i primi mesi del 2025”, avvertendo che “la stessa BCE potrebbe essere riluttante a dare l’impressione di sostenere de facto i Paesi che spendono di più, come Francia, Belgio e Italia, che devono prima tornare sulla strada del rigore fiscale”.
Kinsella si aspetta che l’inflazione “persista nei primi mesi del 2025, con effetti base favorevoli sui prezzi di base nei Paesi sviluppati”.
Haefele di UBS GWM non si aspetta lo stesso livello di divergenza politica, prevedendo che l’inflazione nell’Eurozona scenda dal 2,4% nel 2024 al 2,1% nel 2025 e dal 2,9% al 2,5% negli Stati Uniti. “Ci aspettiamo che sia la BCE che la Fed taglino i tassi di interesse di 125 punti base entro la fine del 2025”, afferma, fiducioso che l’inflazione sia sotto controllo. “È probabile che la Fed trascuri gli aumenti dei prezzi una tantum legati alle tariffe”.
Cosa significherebbe un euro più forte
Un rimbalzo della valuta potrebbe danneggiare le principali industrie europee, che si basano tutte sulle esportazioni. D’altro canto, un euro più forte fa sì che i consumatori stiano meglio e aumentino il loro reddito disponibile.
“Con l’aspettativa di un euro più forte rispetto al dollaro nel 2025, gli investitori dovrebbero sfruttare i periodi di forza del dollaro per diversificare la liquidità in USD e il reddito fisso di alta qualità in dollari in equivalenti denominati in euro”, afferma Mark Haefele. “Gli investitori europei dovrebbero prendere in considerazione la copertura valutaria della loro esposizione azionaria agli Stati Uniti per mitigare il rischio che un dollaro più debole compensi i guadagni in valuta locale del mercato statunitense”.
Come coprire il proprio portafoglio dal rischio valutario
In sostanza, se la valuta estera si apprezza rispetto a quella locale, l’effetto sarà positivo, in quanto le attività denominate nell’altra valuta acquisteranno valore solo grazie alla spinta del mercato Forex. Al contrario, se la valuta locale dovesse rafforzarsi, questo avrebbe un effetto negativo sulle attività estere.
Per coloro che vogliono evitare di dover tenere conto dei movimenti valutari nei loro investimenti, un numero crescente di fondi comuni e di ETF offre una classe di azioni con copertura, che mira a minimizzare il rischio valutario sui rendimenti finali.
La copertura non è mai perfetta e, come mostra la tabella precedente, le performance dei fondi coperti e di quelli in valuta estera possono divergere. Ciò è dovuto in parte al fatto che le classi di fondi coperte applicano commissioni più elevate. Per la maggior parte degli investitori al dettaglio, l’opzione senza copertura rimane forse la più semplice, soprattutto se si ha un orizzonte di lungo termine e nel caso di fondi globali in cui ci sono molte valute sottostanti che potenzialmente si muovono in direzioni diverse.
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