Debito emergente, vale la pena rischiare?

I bond dei mercati emergenti portano diversificazione e un buon potenziale di alfa. Ma resta un’asset class da maneggiare con cura.

Valerio Baselli 30/01/2025 | 13:16
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Emerging markets artwork

Nel 2025, la moderazione dell’inflazione, il miglioramento della crescita economica e l’allentamento della politica monetaria creano un contesto macro potenzialmente favorevole per le obbligazioni dei mercati emergenti. Tuttavia, i dazi, le barriere commerciali, la forza del dollaro e la geopolitica restano delle preoccupazioni concrete.

Anche i fondamentali sembrano migliorare per l’asset class.

Anders Persson, chief investment officer di Nuveen, prevede che i tassi di default delle obbligazioni societarie high yield dei mercati emergenti scenderanno al 2,7%, il livello più basso dal 2019 e ben al di sotto delle medie di lungo periodo. Analogamente, prevede che i default dei titoli sovrani high yield nel 2025 saranno inferiori all'1%, ben al di sotto della media di quasi il 7% degli ultimi cinque anni e della media ventennale di circa il 2%.

Secondo Bank of America Merrill Lynch, l’anno passato quasi tre quarti (73%) degli aggiornamenti di rating sui mercati emergenti sono stati in direzione positiva, rispetto alla quasi totale ondata di downgrade (93%) registrata nel 2020.

Inoltre, le valute dei mercati emergenti sono vicine ai minimi storici dopo la forte corsa del dollaro dello scorso anno in seguito alle elezioni americane. Anche la dinamica del debito rimane sana, secondo i gestori dei fondi.

In termini di performance, ci sono segnali di inversione di tendenza. L’indice Morningstar Emerging Markets Sovereign Bond Index è in rialzo di circa l'1% quest’anno (in dollari) e di quasi il 6% da inizio 2024. Nel 2024, la forte corsa dell’indice si è arrestata dopo l’elezione di Trump, che ha stimolato un rally del dollaro, un fattore chiave per i rendimenti azionari e obbligazionari delle economie in via di sviluppo.

I dazi di Trump sono una minaccia importante per i mercati emergenti?

Uno dei rischi principali è l’aumento dei dazi da parte della nuova amministrazione Trump, ma ci sono enormi differenze sull’impatto potenziale a seconda del Paese, in parte a causa dell’aumento del commercio intra-emergenti.

“La Cina è il principale bersaglio dei dazi, ma il diavolo si nasconde spesso nei dettagli”, afferma Fabrizio Santin, senior investment manager di Pictet AM.

La decisione iniziale di Trump sui dazi “è stata meno dura di quanto previsto dai trader finanziari” e ha rappresentato una sorpresa positiva.

“Il Messico rimane in prima linea per il surplus commerciale accumulato con gli Stati Uniti, ma è strettamente legato all’area economica comune nordamericana e crediamo che Trump chiederà soprattutto una maggiore cooperazione sul controllo dell’immigrazione”, continua il gestore.

Tuttavia, Paul McNamara, investment director emerging market debt di GAM Investments, sottolinea il rischio dirompente dei dazi, soprattutto per Messico e Cina. Ma questi rischi minacciano anche l’economia globale: “I dazi e, soprattutto, le contromisure dei partner commerciali statunitensi rischiano di danneggiare il sistema commerciale globale e la globalizzazione in generale”.

Secondo McNamara, l’apertura al commercio e la dipendenza dalle esportazioni manifatturiere determinano la vulnerabilità dei singoli Paesi. Tuttavia, la situazione non è uniforme.

“L’Asia sembra più a rischio, mentre l’Europa centrale non dovrebbe vedere il suo ruolo all’interno dell’UE significativamente colpito”.

Attenzione al dollaro, attenzione alla Fed

Gli investitori non si aspettano un serio rafforzamento del dollaro USA nel 2025, dopo una forte corsa nel 2024. “Riteniamo che il grosso della forza del dollaro sia ormai alle spalle”, afferma McNamara. “I deficit statunitensi più elevati sembrano estremamente probabili (e di conseguenza la forte sovraperformance della crescita USA), ma ciò si tradurrà in un dollaro più forte solo se la politica monetaria sarà restrittiva”.

La chiusura del differenziale di crescita economica con l’Europa e la Cina, insieme a una maggiore disciplina fiscale rispetto alle aspettative, “potrebbe portare a un graduale indebolimento del biglietto verde”, spiega poi Santin di Pictet. Le aspettative di crescita, con gli Stati Uniti che superano l’Europa e l’Asia, sono state una delle ragioni per cui il dollaro è stato sostenuto di recente.

Il ruolo principale nel mercato del debito emergente sarà svolto dalla Federal Reserve. Dopo i tagli dello scorso anno, la politica monetaria statunitense è entrata in una fase di pausa, con la Fed che ha mantenuto i tassi alla prima riunione politica del 2025.

Per ora i policymaker sono in attesa di capire l’impatto delle nuove politiche di Trump su inflazione e crescita.

“Questa fase potrebbe durare per tutta la prima parte del 2025. Un eventuale nuovo rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti sembra al momento improbabile, ma avrebbe conseguenze molto negative per tutte le asset class, compreso il debito dei mercati emergenti”, continua Santin.

Opportunità e rischi nei bond emergenti

Anders Persson di Nuveen afferma che la classe di attivi offre diversificazione e che le obbligazioni societarie emergenti offrono opportunità di alfa se combinate con il debito sovrano o governativo all’interno dei portafogli.

Persson predilige i corporate bond di Paesi stabili come Messico, Brasile e Sudafrica.

“Il Brasile offre ampie opportunità di competitività aziendale globale con team di gestione esperti. La stabilità del governo sudafricano e la produzione di energia elettrica offrono un ambiente operativo aziendale in miglioramento. In Turchia, Paese in ritardo di sviluppo, guardiamo con favore alle società ben posizionate per resistere alla volatilità della valuta. Restiamo invece scettici sulle opportunità aziendali in Argentina”.

Jason DeVito, senior portfolio manager emerging market debt di Federated Hermes, preferisce una combinazione di obbligazioni di Paesi emergenti e di frontiera, o meno sviluppati. Tra i mercati di frontiera, DeVito preferisce le obbligazioni dell’Africa subsahariana, come la Costa d’Avorio e il Kenya. “Sostenuti da profili creditizi in miglioramento e da valutazioni interessanti, questi Paesi offrono agli investitori anche vantaggi di diversificazione da potenziali venti contrari macro”.

Il gestore vede anche alcune storie interessanti in America Latina: “In generale, qualsiasi spinta alla crescita economica degli Stati Uniti potrebbe favorire gli esportatori di materie prime, molti dei quali si trovano in America Latina”.

In termini di valutazioni e valute, McNamara di GAM afferma: “Per un investitore basato sull’euro, le valute emergenti e gli asset locali appaiono interessanti, in quanto né le valute né le obbligazioni appaiono costose e in generale i rischi sono ben compresi e sembrano ragionevolmente prezzati”.

Fabrizio Santin afferma che esistono opportunità nelle obbligazioni denominate in valute locali in Brasile, Messico e Sudafrica, grazie al profilo dell’inflazione e dei tassi d’interesse: “Il caso di investimento per le valute locali è supportato dal fatto che in diversi Paesi emergenti i tassi di interesse reali [rendimenti nominali corretti per l’inflazione] sono molto vantaggiosi e significativamente più alti rispetto all’area euro o agli Stati Uniti”.

Nel complesso, Santin afferma che le banche centrali dei mercati emergenti hanno imparato dagli errori del passato e hanno tenuto a bada le interferenze politiche. Le politiche fiscali generose che hanno caratterizzato il periodo post-pandemico sono state principalmente un fenomeno dei Paesi sviluppati, mentre i Paesi emergenti sono stati molto più disciplinati, aggiunge.


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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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