Le conseguenze dei dazi di Trump su economia e mercati globali

Le prospettive economiche si affievoliscono mentre la guerra commerciale crea il peggior nemico degli investitori: l’incertezza.

Valerio Baselli 25/03/2025 | 09:56
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Illustrazione a collage di una nave da carico, bandiere degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell'Unione Europea e simboli di volatilità.

Le guerre commerciali del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump stanno oscurando le prospettive economiche globali, il che spinge i gestori di fondi a prepararsi a un lungo periodo di incertezza e a posizionare i portafogli in vista di nuove dinamiche commerciali e politiche.

Questo si traduce in una riduzione delle previsioni di crescita economica negli Stati Uniti e nei Paesi già bersaglio delle politiche commerciali di Trump. Le tariffe sono considerate in grado di aumentare l’inflazione, complicando il lavoro delle banche centrali che cercano di abbassare i tassi per sostenere la crescita economica. I titoli dei giornali creano incertezza, stimolando la cautela degli investitori di fronte a prospettive economiche estremamente difficili da prevedere.

Alcuni fund manager azionari si stanno orientando verso i titoli dei mercati europei e asiatici, dove le economie sembrano meglio posizionate per resistere alle guerre commerciali, grazie agli sforzi fiscali dei governi e dove i titoli offrono valutazioni più interessanti rispetto ai nomi statunitensi.

Crescita globale colpita dai timori della guerra commerciale

L’ottimismo sullo stato di salute dell’economia statunitense e globale ha subito una battuta d’arresto. Le previsioni della Federal Reserve statunitense vedono ora una crescita del PIL dell'1,7% quest’anno, in calo rispetto alla proiezione del 2,1% di dicembre. Il presidente della Fed Jerome Powell ha avvertito che le tariffe stanno offuscando le prospettive dell’inflazione.

Gli economisti di JPMorgan hanno recentemente alzato al 40% la probabilità di recessione degli Stati Uniti a causa delle politiche commerciali. Gli economisti di Goldman Sachs hanno ridotto le previsioni di crescita degli Stati Uniti per il 2025 all'1,7% dal 2,2%. Preston Caldwell, economista senior di Morningstar per gli Stati Uniti, scrive che “tariffe più elevate ridurrebbero inequivocabilmente il PIL reale”. Secondo le sue stime, la piena attuazione delle tariffe proposte da Trump in campagna elettorale ridurrà il livello di lungo periodo del PIL statunitense dell'1,6%, e anche una versione attenuata ridurrà la crescita dello 0,32% nei prossimi tre anni.

Secondo un recente sondaggio del Center for Economic Policy Research, una netta maggioranza dei 32 economisti intervistati ritiene che le tariffe statunitensi ridurranno la crescita dell’UE di meno di un punto percentuale nei prossimi quattro anni.

Nel frattempo, nel suo ultim outlook economico, pubblicato il 17 marzo, l’OCSE ha ridotto le prospettive di crescita globale per l’anno in corso e per il prossimo, con una forte riduzione dell’attività negli Stati Uniti, in Canada e in Messico.

L’istituto con sede a Parigi ha ridotto le previsioni di crescita del PIL mondiale al 3,1% dal 3,3% per il 2025 e al 3,0% dal 3,3% per il 2026. Basando le sue proiezioni sull’ipotesi che gli Stati Uniti confermino i dazi su Canada e Messico in aprile (e che siano bilaterali), l’OCSE prevede che il Messico sarà spinto in una profonda recessione nel 2025 e che il PIL del Canada crescerà dello 0,7% nel 2025 e nel 2026, tagliando la sua precedente stima di 1,3 punti percentuali.

L’OCSE ha sottolineato che “un aumento maggiore e più ampio delle barriere commerciali colpirebbe la crescita in tutto il mondo e aumenterebbe l’inflazione” e che “un’inflazione più alta del previsto spingerebbe a una politica monetaria più restrittiva e potrebbe dare origine a un repricing dirompente nei mercati finanziari”.

Michel Saugné, chief investment officer di La Financière de l'Échiquier, afferma: “È quindi molto probabile che l’economia statunitense rallenti significativamente nel breve periodo, trascinando con sé l’economia globale”.

Dalla fiducia al pessimismo sulle azioni USA

Nel novembre 2024, la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi è stata considerata positiva per le azioni USA e negativa per l’Europa e i mercati emergenti, in particolare la Cina. “Il consenso del mercato sembrava essere che i benefici della deregolamentazione e dei tagli alle tasse avrebbero superato qualsiasi aumento dei prezzi dovuto all’implementazione dei dazi”, spiega Hugh Shepherd, investment specialist di Federated Hermes.

Tuttavia, quest’anno si è visto l’esatto contrario. I mercati azionari statunitensi hanno registrato una sottoperformance a causa dell’escalation delle tensioni commerciali e dell’incertezza economica che hanno lasciato gli investitori con il fiato sospeso. “I cosiddetti Trump Trades si sono esauriti uno dopo l’altro: bitcoin, small cap, persino le banche e i giochi di deregolamentazione”, afferma Justin Thomson, responsabile del T. Rowe Price Investment Institute. “Il tenore di fondo del mercato è diventato difensivo, con i settori difensivi che hanno sovraperformato e i ciclici che hanno sottoperformato”.

Dall’insediamento di Trump il 20 gennaio, i mercati europei ed emergenti (in particolare i titoli tecnologici cinesi) hanno performato eccezionalmente bene. Ad esempio, i titoli europei non hanno quasi battuto ciglio quando Trump ha minacciato un aumento del 25% sulle importazioni europee, comprese quelle di auto. “I mercati al di fuori degli Stati Uniti sono avvantaggiati da un punto di partenza con valutazioni più basse e da un impulso fiscale potenzialmente positivo in Europa e in Cina”, spiega Thomson.

Steven Bell, capo economista EMEA di Columbia Threadneedle Investments, afferma che “gli investitori hanno investito eccessivamente negli Stati Uniti e il divario di valutazione con gli altri mercati è diventato eccessivo. L’Europa ha generato utili migliori del previsto nel quarto trimestre del 2024 e la Germania sta pianificando un drastico cambiamento della politica fiscale che ha migliorato notevolmente le sue prospettive economiche”.

I mercati non statunitensi hanno registrato una performance migliore per ragioni che vanno oltre la politica commerciale. L’approccio di Trump alla guerra in Ucraina ha portato a una rivalutazione della spesa europea per la difesa. La Germania ha infranto il suo impegno di lunga data per un basso indebitamento e ha aumentato in modo significativo la spesa pubblica. “La politica statunitense sembra aver innescato ulteriori stimoli interni in Cina e Germania, e questi mercati hanno reagito”, afferma Mark Haefele, chief investment officer di UBS Global Wealth Management.

“La buona notizia in tutto questo è il catalizzatore positivo che Trump rappresenta per l’unità europea”, afferma Saugné. Per contro, i drastici cambiamenti nella politica statunitense stanno generando incertezza a livello nazionale, in quanto la nuova amministrazione ha chiarito di essere disposta a tollerare per ora la debolezza dell’economia e dei mercati per perseguire i suoi obiettivi a lungo termine.

“L’aumento dei dazi potrebbe far lievitare i costi per i consumatori statunitensi, mentre l’espansione del deficit fiscale potrebbe far salire i rendimenti obbligazionari e mantenere i tassi di interesse più alti più a lungo. Ciò potrebbe far lievitare i costi di finanziamento per le aziende statunitensi, aumentando la spesa per interessi del governo americano, che a sua volta potrebbe comprimere ulteriormente la spesa pubblica”, spiega Shepherd.

Un periodo di forte incertezza

Secondo i gestori di fondi, una delle sfide è la difficoltà di anticipare le intenzioni di Trump. Shepherd si aspetta “un periodo di elevata incertezza”. Sebbene sia forse più facile prevedere le carte che Trump giocherà nelle relazioni economiche con i Paesi asiatici e il Messico, è comunque “molto difficile sapere quale accordo verrà alla fine concluso. Ci aspettiamo che molti Paesi cerchino di lavorare con gli Stati Uniti su accordi commerciali reciprocamente vantaggiosi. Siamo preparati a una fase di elevata incertezza per quanto riguarda le relazioni commerciali tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, ma non crediamo che questa situazione si protrarrà all’infinito”.

Tuttavia, molti scenari negativi sembrano possibili. “Lo scenario peggiore potrebbe essere quello di un conflitto commerciale prolungato, con conseguente aumento dell’inflazione, interruzione delle catene di approvvigionamento e misure di ritorsione da parte dei partner commerciali, che potrebbero avere un impatto negativo sulla stabilità economica globale”, spiega Thomson. “In quanto economia dominante a livello mondiale, una recessione degli Stati Uniti avrebbe un impatto negativo sui mercati di tutto il mondo”. A suo avviso, la guerra tariffaria tra Stati Uniti, Canada e Messico potrebbe essere di breve durata, mentre quella con la Cina è destinata a prolungarsi. “La guerra commerciale ha già causato troppi danni. L’incertezza uccide gli investimenti, le aspettative di inflazione uccidono la fiducia dei consumatori e il mercato del lavoro entra nella fase di recessione”.

La guerra commerciale rende gli investitori prudenti

“I gestori di portafoglio stanno assumendo un atteggiamento più difensivo”, afferma Thomson.

Shepherd ritiene importante considerare i potenziali impatti di secondo ordine: svalutazioni valutarie, stimoli interni e nuovi allineamenti geopolitici. Afferma: “Rimaniamo concentrati su aziende con chiari vantaggi competitivi e bassa leva finanziaria, che beneficiano di tendenze secolari e che si trovano a prezzi ragionevoli. Ad esempio, nella nostra allocazione di portafoglio, ci siamo tenuti alla larga dalle società che dipendono fortemente dalle esportazioni dalla Cina verso gli Stati Uniti, a causa dei forti rischi che potenzialmente corrono”.

Saugné è pronto ad affrontare la volatilità: “Prevediamo significative perturbazioni del mercato entro l’estate e ci siamo coperti di conseguenza. Riteniamo inoltre che una buona diversificazione del rischio geografico sia più che necessaria in questo nuovo contesto, che dovrebbe continuare a favorire i mercati europei e asiatici.”

Bell afferma: “I nostri stock picker con un focus globale stanno sottopesando le azioni statunitensi e hanno investito in alcune società cinesi per la prima volta dopo un po' di tempo, non per una decisione di asset allocation, ma perché hanno trovato società interessanti a prezzi ragionevoli al di fuori degli Stati Uniti.”


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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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