I dazi aumentano le probabilità di recessione degli Stati Uniti

Ora vediamo una probabilità del 40%-50% di recessione negli Stati Uniti nel corso del prossimo anno.

Preston Caldwell 07/04/2025 | 10:55
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Illustrazione in stile collage di un grafico a torta con segmenti contenenti fotografie di container navali, attrezzature industriali e automobili su un'autostrada.

Se mantenuti, gli aumenti tariffari annunciati il 2 aprile rappresentano una catastrofe economica autoinflitta per gli Stati Uniti.

Al momento, abbiamo ridotto le nostre previsioni di crescita del PIL reale nel periodo 2025-29 di 1,1 punti percentuali cumulativi. L’impatto a breve termine è più grave, con una riduzione di circa 0,7 punti nel 2025 e di 0,9 punti nel 2026. C’è qualche possibilità di recupero della crescita nel 2028 e nel 2029, grazie alla probabilità che le tariffe vengano abolite e all’attenuazione dell’incertezza.

Previsioni sul PIL degli Stati Uniti

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Il rischio di recessione è salito al 40%-50% nei prossimi 12 mesi. Ma la recessione sarebbe solo un problema nel breve termine. Se gli aumenti delle tariffe venissero mantenuti, infatti, ridurrebbero in modo permanente il PIL reale degli Stati Uniti e quindi il tenore di vita reale dell’americano medio.

Abbiamo anche aumentato la nostra previsione di inflazione basata sul Personal Consumption Expenditures Price Index al 3,3% nel 2025 (con un aumento di 0,9 punti percentuali) e al 2,6% nel 2026 (con un aumento di 0,7 punti percentuali).

Le tariffe annunciate superano di gran lunga quelle che avevamo incorporato nella nostra ultima previsione. Naturalmente, solo i dazi che restano in vigore sono davvero importanti. Ma, a differenza di quanto abbiamo visto con Canada e Messico un mese fa, non vediamo motivi per aspettarci una rapida riduzione di questi aumenti. Potrebbero essere ridotti un po’, ma non c’è un percorso chiaro per eliminare la maggior parte di essi.

Aliquota tariffaria effettiva media degli Stati Uniti (%)

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L’aliquota tariffaria media degli Stati Uniti si attesta ora intorno al 25,5%, con un aumento di 23 punti rispetto al 2024. Si tratta del tasso tariffario più alto in oltre un secolo per gli Stati Uniti. Considerando che l’economia globale è molto più interconnessa rispetto a un secolo fa, si tratta di una situazione davvero senza precedenti.

Secondo le nostre previsioni, l’aliquota tariffaria media scenderà al 18% entro la fine del 2025 e si ridurrà ulteriormente nei prossimi anni. In linea di massima, probabilmente ci saranno più esenzioni che aumenti, e c’è sempre la probabilità che Trump cambi idea all’improvviso. Ci aspettiamo che nel periodo tra il 2026 e il 2029, l’impoverimento dell’economia del paese ed eventuali risultati elettorali negativi per il Partito Repubblicano aumentino ulteriormente la probabilità che le tariffe vengano ridotte. Tuttavia, gran parte del danno rimarrà.

In precedenza, avevamo visto le minacce tariffarie come un mezzo per raggiungere obiettivi geopolitici, come durante la prima amministrazione Trump. I primi mesi del suo secondo mandato sono sembrati in linea con questo principio: le tariffe sono state applicate a Canada e Messico per alcuni giorni, ma sono state rapidamente revocate dopo aver ritenuto che fossero state fatte concessioni sulla sicurezza dei confini e su altre questioni.

Ora, invece, Trump sembra essere determinato a usare le tariffe per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti e riportare il dominio manifatturiero del Paese ai suoi livelli storici. Come da sue dichiarazioni, Trump ha questa visione fin dagli anni ‘80. A differenza della sua prima amministrazione, ora è circondato da persone che si inchinano a questa visione. Pertanto, pensiamo che le tariffe rimarranno in vigore per un lungo periodo.

L’impatto sull’inflazione e sulla politica monetaria, così come l’impatto sul PIL di breve periodo (distinto da quello di lungo periodo) dipenderà da una serie di altri fattori. In particolare, i proventi realizzati dalle tariffe saranno utilizzati per ridurre le tasse? Questo non attenuerebbe l’impatto negativo sull’efficienza economica (e quindi sul PIL di lungo periodo), ma attenuerebbe gli effetti sul lato della domanda, riducendo così il rischio di recessione.

L’incertezza delle imprese e dei consumatori sta raggiungendo un livello altissimo, che peserà sulla spesa indipendentemente dall’impatto diretto delle tariffe. Per questo motivo, la contrazione della domanda potrebbe effettivamente superare il calo dell’offerta (nel breve periodo), rendendo lo shock tariffario più recessivo che inflazionistico.

D’altra parte, se tutti i proventi delle tariffe venissero utilizzati per nuovi tagli alle tasse, l’inflazione sarebbe molto più elevata, poiché la domanda dell’economia verrebbe sostenuta meglio.

In termini di politica monetaria, l’aumento delle tariffe senza ulteriori tagli alle tasse e senza incertezza nella spesa richiederebbe una maggiore riduzione dei tassi di interesse rispetto allo scenario di base. Ma se lo shock tariffario fosse più inflazionistico, la Fed potrebbe essere costretta a sospendere i tagli dei tassi per un periodo prolungato.


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Info autore

Preston Caldwell  è analista azionario di Morningstar

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