Punto di svolta o ennesima occasione mancata di attirare l’interesse degli investitori sui titoli mid e small cap di Piazza Affari? Il Fondo Nazionale Strategico (FNS) è ormai in rampa di lancio (a inizio marzo il Ministro dell’economia e delle finanze ha adottato il decreto attuativo ed entro maggio dovrebbe iniziare a essere operativo), avrà una disponibilità di EUR 700 milioni, sarà interamente sottoscritto dal Ministero dell’economia e delle finanze e verrà amministrato da Cassa Depositi e Prestiti.
Come funzionerà il Fondo Nazionale Strategico?
L’FNS opererà nel seguente modo: potrà rilevare fino al 49% di fondi chiusi di nuova costituzione che saranno attivati e gestiti da SGR private. Le società di gestione, dunque, utilizzeranno il capitale raccolto per investirlo nelle PMI quotate su Borsa italiana, rispettando il vincolo di destinare almeno il 70% del portafoglio a tale scopo, mentre il restante 30% del portafoglio potrà essere investito in tutti gli altri titoli quotati in Italia, sia azioni che obbligazioni (sarà escluso, invece, l’investimento in titoli derivati o in ETF).
Per quanto riguarda i deflussi di capitale dalle società, questo avverrà attraverso le normali dinamiche di mercato, come la vendita di azioni da parte dei fondi gestiti dalle SGR. La liquidazione dei fondi (ovvero la restituzione del capitale agli investitori, incluso il Fondo nazionale strategico e gli investitori istituzionali), potrà realizzarsi in un periodo compreso tra l’ottobre 2031 e la fine di dicembre 2032.
Il Fondo nazionale strategico avrà la possibilità di svolgere anche il ruolo di anchor investor nelle IPO. Gli anchor investor sono tipicamente degli investitori istituzionali, ovvero fondi comuni di investimento, compagnie di assicurazione e fondi pensione, che si impegnano ad acquistare una quota significativa di azioni di una società prima dell’offerta pubblica iniziale, segnalando in questo modo il loro interesse per l’IPO. Inoltre, contribuiscono a garantire la stabilità dei prezzi impegnandosi a detenere il titolo per un periodo minimo che va da 1 a 3 mesi.
Le differenze tra FNS e PIR
Riuscirà questo strumento a sanare le anomalie del mercato azionario italiano? Borsa Italiana ha da sempre il problema di non rappresentare in maniera corretta l’economia del paese: a fronte di un tessuto imprenditoriale che conta più di 5 milioni di micro imprese sotto i 2 milioni di euro di fatturato e circa 150.000 società medio/piccole con un giro d’affari inferiore a 50 milioni di euro, il numero di società quotate sull’Euronext Growth Milan – listino composto dalle piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita- è di poco superiore a 190.
In base a uno studio condotto dall’Osservatorio ECM Euronext Growth Milano di IrTop Consulting, sarebbero 324 le società che compongono l’universo investibile a cui potranno attingere i fondi cofinanziati dal Fondo Nazionale Strategico. Un paniere, questo, che rappresenta il 77% del totale dei 419 emittenti oggi presenti a Piazza Affari per una capitalizzazione di 907 miliardi di euro (dati al 12 febbraio 2025).
Sebbene il compito del FNS non sia dei più semplici, gli esperti sono fiduciosi che i capitali messi a disposizione potranno innescare un circolo virtuoso.
Secondo Alberto Villa, responsabile equity research di Intermonte, il Fondo Nazionale Strategico è un primo passo tangibile per invertire la tendenza di una disaffezione degli investitori verso il segmento mid e small cap e per avvicinare le PMI italiane verso il mercato dei capitali. I dati del 2024 sono preoccupanti: a fronte di 37 delisting, ci sono state soltanto 21 nuove IPO.
Già in passato il governo italiano aveva cercato di avvicinare le piccole imprese al mercato dei capitali, attraverso la promozione dei PIR (piani individuali di risparmio a lungo termine), ma con scars. Gli esperti si aspettano che il FNS abbia maggiori probabilità di successo, anche in considerazione delle sue differenze rispetto ai PIR.
Secondo Matteo Serio, partner e direttore commerciale di AcomeA SGR, il FNS ha il merito di rafforzare il focus sulle piccole e medie imprese italiane quotate, allargando sino al 70% la quota minima in portafoglio dedicata a questo segmento di mercato, mentre per i PIR la quota era appena del 21%. “L’esperienza dei PIR ha poi fatto maturare una serie di accorgimenti per tutelare al meglio investitori e mercato, come ad esempio la tipologia di veicolo finanziario e le finestre temporali previste per l’ingresso e l’uscita dei flussi di liquidità in Borsa”, aggiunge Serio.
Villa di Intermonte sottolinea come la principale differenza tra il FNS e i PIR risieda nella tipologia degli investitori coinvolti: “Il Fondo Nazionale Strategico punta a coinvolgere investitori istituzionali come fondi pensione, casse di previdenza, assicurazioni e banche al fianco di Cdp, che parteciperà con un contributo massimo fino al 49% nei fondi di nuova costituzione. Al contrario, i fondi PIR sono rivolti a raccogliere fondi dagli investitori retail che, a fronte dell’impegno a mantenere l’investimento per cinque anni, possono beneficiare di una totale detassazione dell’eventuale capital gain maturato sull’investimento”.
Serio di AcomeA SGR sottolinea la presenza di meccanismi finalizzati a minimizzare il rischio di sell off su questi titoli non appena Cdp liquiderà la sua quota, mentre Villa aggiunge che l’obiettivo del FNS è quello di creare un volano di investitori che nel tempo apprezzi l’investimento e sostituisca la quota contribuita da Cdp. “Il regolamento prevede comunque delle clausole volte a prevenire il rischio di ipervenduto, ad esempio dando 15 mesi per disinvestire”.
PMI di Borsa Italiana a sconto
I segmenti small e mid cap di Borsa Italiana hanno chiuso il primo trimestre con un ritardo nei confronti del FTSE MIB rispettivamente di circa 11 e 8 punti percentuali e nonostante il recente sell off innescato dai dazi USA abbia permesso alle azioni delle PMI italiane di recuperare circa 500 punti base rispetto alle Blue Chip, le loro valutazioni di mercato continuano a essere più convenienti.
Nell’ultimo report mensile di Intermonte dello scorso marzo, Andrea Randone, head of mid small cap research, sottolinea come le mid-small cap italiane siano scambiate vicino ai minimi degli ultimi quattro anni in termini di valutazione relativa rispetto alle large cap. “Questo ci porta a ribadire la nostra visione positiva su questa asset class e, in particolare, la nostra preferenza per aziende di qualità, leader nei rispettivi settori, le cui valutazioni siano giustificate da prospettive di crescita realistiche o supportate da una forte generazione di cassa. In un contesto come questo, iniziative come il Fondo Strategico Nazionale dovrebbero fornire un contributo positivo”, afferma Randone.
Positivi, in questo senso, sono anche gli analisti di Websim. Nel loro quarterly handbook sul listino Euronext Growth Milan (EGM), il listino di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese, hanno evidenziato il gap in termini di valutazione rispetto al segmento delle Blue Chip: “In base ai dati di fine marzo, il segmento EGM tratta rispettivamente a 4.5x e 3.6x l’EV/EBITDA stimato per il 2025 e il 2026, il che indica una percentuale di sconto del 52% e del 59% rispetto all’universo delle società a più ampia capitalizzazione”, afferma Stefano Corneliani, ead of Websim Corporate.
Il FNS, aggiunge Corneliani, potrebbe contribuire a sanare anche uno dei principali limiti di questo mercato, ovvero la scarsa liquidità: “I dati dei primi tre mesi dell’anno indicano una riduzione del controvalore degli scambi di oltre il 30% a/a, con scambi medi giornalieri di poco superiori a 7 milioni di euro. Il problema della rarefazione dei volumi si accompagna a quello della concentrazione degli scambi su di un numero estremamente esiguo di società: i primi 20 titoli pesano per oltre il 50% degli scambi complessivi, mentre quasi 120 titoli sono incapaci di generare un transato medio giornaliero superiore a 25.000 euro”.
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