Sono svariati i tipi di rischio in cui si può incorrere: quello legato ai settori di attività delle società cui si investe, che può avere come effetto una discesa dell’intero settore nello stesso mo
mento; il rischio legato ai prezzi, e cioè che una società non performerà secondo le attese incorporate nel prezzo che quota; il rischio societario, ovvero che gli utili di una società tendano a ridursi nel tempo e a divenire instabili; e, infine, il rischio legato alle valute, cioè che il movimento valutario danneggi la profittabilità di alcune società.
Una serie di azioni legati intentate –e vinte- contro la società hanno portato ai massimi livelli l’incertezza sul futuro societario e, di conseguenza, hanno indotto una più elevata la volatilità: nel solo 1999 la società ha perso la metà del suo valore da inizio anno e ancora oggi è un titolo tutt’altro che stabile.
La storia, una guida imperfetta per la futura volatilità
Se la volatilità è una misura del verificarsi del rischio e di situazioni di incertezza, tutte le statistiche storiche, come la deviazione standard e Beta, sono misure della volatilità passata di un investimento e non predicono nulla sul rischio futuro. Questi indicatori infatti non tengono assolutamente in conto i rischi futuri né tanto meno possono incorporare previsioni legate a eventi imprevedibili. Nulla dicono, dunque, sul futuro della volatilità cui può andare incontro un investimento.
Se si guarda ad esempio all’andamento di Edison International, la più grande società di energia della California del sud, il titolo ha perso metà del proprio valore in un solo un mese, quando è scoppiata la crisi energetica nell’area. Si tratta di un evento inaspettato, assolutamente imprevedibile guardando ai prezzi storici degli ultimi dieci anni, un valido esempio di quanto l’incertezza renda inutili gli sforzi previsivi a partire dalla volatilità passata. Altri esempi al riguardo non mancano. Si può citare il caso del fondo americano Janus Twenty, che ha cominciato l’anno 2000 con un Morningstar risk score, un indicatore di rischio sviluppato per i fondi statunitensi, non superiore alla media della propria categoria large-cap growth. Ciononostante, il fondo è sceso del 32,4% nel 2000, a confronto con una perdita media della categoria del 14,1% sullo stesso periodo. Questo perché il fondo andava incontro a rischi non ancora visibili a inizio anno.
Tutto ciò non significa però che le statistiche che parlano della storia di un’azione o di un fondo vadano ignorate. Un investimento che mostra una storia di elevata volatilità potrebbe continuare ad essere volatile anche in futuro, se non cambiano i fondamentali che incorporano il livello di rischio. Per chi avesse guardato la composizione del portafoglio di Janus Twenty, sarebbe stato facile vedere che il fondo era molto esposto a rischi settoriali e di prezzo. Alla fine del ’99 il fondo era ben posizionato sui titoli tecnologici –al 53% nel portafoglio contro una media del 33% dei fondi nella stessa categoria – e aveva un rapporto Price/Earning di 49,8 contro il 43,5 medio.
Allo stesso modo, chi ha investito sul Edison International magari non poteva scoprire dall’analisi dei fondamentali che il titolo sarebbe stato soggetto a future perdite, ma poteva sicuramente scoprire il forte legame della società al mercato energetico californiano e i rischi di tale legame.
Come tenere sotto controllo la volatilità
Si può partire seguendo alcuni piccoli suggerimenti per tenere sotto controllo la volatilità del proprio portafoglio.
1. Esaminare le statistiche storiche che mostrano il rischio dei propri investimenti, ricordando che questi numeri rappresentano una misura della volatilità passata. L’investimento potrebbe continuare a mostrare lo stesso tipo di volatilità nel futuro, ma non è detto.
2. Analizzare i fondamentali dei titoli e dei fondi che si sono scelti, per monitorare i rischi nascosti che potrebbero generare volatilità in futuro. Ad esempio, se il prezzo incorpora performance superiori rispetto al mercato, il titolo è soggetto a un eventuale rischio di prezzo. Se il fondo è legato ad esempio in modo preminente a un solo settore del mercato, è soggetto al rischio settoriale.
3. Combinare i propri investimenti in modo da ottenere un portafoglio che incorpora rischi di tipo differente. Per esempio, bilanciare un fondo sovrappesato sulla tecnologia con un altro che investe principalmente in titoli finanziari. O ancora bilanciare l’investimento in titoli sopravvalutati comprando un fondo value.
4. Monitorare non solo la performance degli investimenti, ma anche i fondamentali. Titoli e fondi non sono strumenti statici, ma cambiano nel tempo: i gestori possono venderli e comprarli, modificare i pesi dei settori all’interno dei loro portafogli o ancora le società possono aprirsi a nuovi mercati. Ogni cambiamento genera rischi diversi e i risparmiatori che controllano continuamente i propri investimenti sono quelli più pronti a cogliere le opportunità che questi cambiamenti generano.
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