L’industria biotecnologia ha registrato performance di rilievo negli anni ’98-2000, soprattutto grazie a due fattori: il lancio con successo di alcuni nuovi farmaci e la conclusione del progetto legato al genoma umano alla fine del 1999. Di conseguenza le valutazioni hanno registrato una forte crescita, fino ad arrivare anche a livelli poco ragionevoli.
La correzione che ha interessato tutti i mercati finanziari ha portato a un aumento dell’avversione al rischio da parte dei risparm
iatori. Il settore biotech ne ha risentito molto, ma la performance negativa da inizio 2002 potrebbe essere attribuita a uno specifico evento: la fallita approvazione da parte del Food and drug administration (Fda), l’autorità regolatrice degli Stati Uniti, per un farmaco di Inclone. Gli investitori sono stati colti di sorpresa e sono corsi a vendere tutte le società in attesa di autorizzazione per nuovi farmaci. Il Fda , infatti, nel 2001 è diventato molto più cauto è ha di gran lunga rallentato la convalida alla diffusione di nuove medicine.
Cosa si aspetta dal settore nei prossimi mesi?
L’industria sta crescendo a ritmo costante: le vendite delle società aumentano del 20% ogni anno e nel campo delle scoperte scientifiche sono stati compiuti passi significativi. Però si tratta di uno trend di lungo periodo. Guardando al breve periodo, ci troviamo ancora in una fase di correzione, durante la quale gli investitori, che non comprendono i dettagli del settore, continuano a vendere. Uno dei maggiori problemi proviene da Inclone, che ha penalizzato la fiducia degli investitori. E’ difficile prevedere il timing del recupero, ma a mio avviso già entro la fine dell’anno il clima migliorerà, sia grazie ai buoni risultati trimestrali cha ad un aumento della chiarezza da parte del Fda. Dall’anno prossimo, esso adotterà metodi di valutazione più efficienti.
E’ per questo che attualmente il fondo è investito al 100% in azioni?
Dopo l’11 settembre 2001, siamo ritornati a essere interamente investiti. In effetti ci siamo accorti che forse era un po’ prematuro, ma dati i fondamentali e le nostre previsioni sul settore, non vogliamo rischiare di perdere il rally che verrà.
Quali sono le difficoltà di gestione di un fondo biotech rispetto a un fondo più tradizionale?
La maggiore difficoltà è che il settore è abbastanza concentrato e quasi tutte le società che vi operano non presentano ancora utili: ad oggi solo 60 società sono profittevoli a livello mondiale. Per questo è per noi necessario conoscere le società in maniera approfondita, usando analisi interne ed esterne e prendendo in considerazione altri aspetti quali ad esempio i brevetti.
Il fondo ha una volatilità a tre anni del 52%. Non le sembra un pò elevata per molti risparmiatori?
Il settore è ancora molto giovane e vive fasi alterne di alti e bassi. È per questo che i risparmiatori che scelgono di investire sulle società della biotecnologia devono avere un orizzonte temporale più lungo, di almeno tre anni.
Quasi tutti i titoli presenti in portafogli sono statunitensi, che secondo molti operatori risultano maggiormente sopravvalutati. Qual è il suo parere?
Dell’universo di 450 società operative nel settore quotate nelle Borse mondiali, circa il 90% sono statunitensi. È vero che il mercato americano è in generale quello più caro, ma per il settore biotech si possono trovare alcune opportunità, in particolare nelle società a media capitalizzazione che sono state le più penalizzate negli ultimi mesi.
E in quali titoli rintraccia le migliori opportunità?
Attualmente privilegiamo i titoli a media capitalizzazione che sono maggiormente orientati ai prodotti, come ad esempio, Cellgene, che produce un farmaco per combattere il cancro; Intermune, che fornisce una cura per le malattie polmonari e Scios, che ha un prodotto per i problemi del cuore.
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