In realtà l’interesse degli investitori europei nei confronti dell’India è in aumento, nonostante resti ancora un mercato poco conosciuto rispetto all’area asiatica in generale, al mercato giapponese o cinese.
Eppure l’India beneficia di un mercato domestico importante, con più di un miliardo di abitanti, ha conosciuto una forte ripresa economica e dispone di una manodopera con un alto livello di educazione.
Il paese è guidato dunque tanto dalle esportazioni, nel settore tecnologico, dell’informat
ica o della farmacia, quanto della domanda interna.
Come si spiegano le performance particolarmente volatili del mercato lo scorso anno?
L'India sta attraversando una fase di grandi cambiamenti, in particolare a livello regolamentare. Nel 2002 abbiamo assistito a diverse privatizzazioni importanti, un processo che proseguirà anche nel corso dei prossimi anni.
Nel 2002 abbiamo assistito per esempio alla privatizzazione di IBP nel settore petrolifero o di IPCM nel petrolchimico. A livello regolamentare, il paese è anche in piena evoluzione nel comparto bancario, in quello elettrico o ancora nelle telecomunicazioni.
Quale sarà allora il motore della ripresa nel 2003?
Il processo di privatizzazione è ancora lontano dall’essere terminato e si risolverà su più anni. Inoltre bisogna aggiungere che manca ancora molto per completare le riforme. Nel lungo termine, soprattutto, bisogna fare i conti con la straordinaria crescita che l’India ha sta sperimentando. Tra il 1998 e il 2002 la crescita indiana ha oscillato tra il 4 e il 7%. Quest’anno sarà superiore al 4%, e il 5% è stimato per il prossimo anno.
Bisogna inoltre tenere presente che l’India è un paese in via di sviluppo: l’agricoltura non pesa che il 23% del Prodotto interno lordo nazionale, mentre i servizi il 55% e hanno conosciuto una crescita superiore al 7% annuo. Le esportazioni di software indiani sono passate dai 4 miliardi di dollari del 2000 ai 7,6 mld del 2002. Per il 2008 gli esperti stimano un volume di 50 mld di dollari.
La stessa tendenza è riscontrabile nel comparto farmaceutico, sia a livello di investimenti, di lancio di nuovi prodotti sul mercato, che delle esportazioni. L’India ha davanti a sé un lungo periodo di sviluppo legato a due fattori: alle esportazioni, grazie soprattutto a una mano d’opera dal costo relativamente basso, e con un livello di istruzione elevato. Ma è legato anche alla domanda interna: ricordiamo che la metà della popolazione ha meno di 25 anni.
Lo sviluppo indiano sarà simile a quello giapponese o a quello della Cina?
Senza dubbio un po’ dei due. Non bisogna dimenticare che l’India è la più grande democrazia del mondo e che la crescita economia del paese, come la Cina, non è trainata solo dalle esportazioni, ma sostenuta dalla domanda interna.
Buona parte dello sviluppo in India è legata a quello dei servizi. Non si tratta però di sub-contratti dal basso valore aggiunto, ma di industrie dal valore aggiunto elevato, come l’informatica o l’industria farmaceutica.
Qui dunque sta il vantaggio di un fondo che investe in India: può beneficiare della ripresa mondiale, mentre riesce ad ammortizzare un’eventuale fase rallentamento globale grazie alla crescita propria del paese. Se nel 2002 le imprese indiane sono cresciute solo del 9,4%, nel 2000 e nel 2001 il tasso di crescita è invece stato rispettivamente del 18% e del 21%. E quest’anno sarà superiore al 23%.
Quale ruolo gioca un fondo azionario indiano all’interno di un portafoglio?
È un ottimo mezzo di diversificazione non correlato con gli altri mercati occidentali perché meno dipendente dalla ripresa mondiale. E sul lungo termine è l’economia che offre le migliori prospettive di crescita.
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