Lo sviluppo ha indubbi vantaggi in termini di diversificazione dell’offerta e maggior liquidità del mercato. Accanto ai tradizionali fondi generalisti, si sono affiancati recentemente quelli specializzati, come Olinda Fondo Shops che investe nelle strutture commerciali e nei cinema multisala. Inoltre, ai fondi chiusi si sono aggiunti quelli semi-aperti, introdotti dalle modifiche normative e
ffettuate tra il 2001 e il 2003, che permettono agli investitori di sottoscrivere o riscattare le quote anche nel corso della vita del fondo, non solamente in fase di collocamento o liquidazione. Il primo è stato Immobiliare dinamico di Bnl Fondi Immobiliari, che ha preso il via nel novembre scorso.
Sono in molti, primi fra tutti i pionieri del settore come Bnl Fondi Immobiliari e DB Fondimmobiliari, a sostenere la necessità che il mercato continui a crescere solidamente attraverso prodotti che siano veramente di asset management, come è emerso anche nell’ultimo Italian Real Estate summit promosso dal Sole 24 Ore a fine novembre. Questo significa, ad esempio, che deve configurarsi una gestione collettiva, cosa che non è possibile se il numero di partecipanti al fondo è basso, e che l’obiettivo deve essere quello di far rendere l’investimento a beneficio del sottoscrittore, piuttosto che nell’interesse del promotore.
Nell’ultimo anno, la disciplina fiscale ha avuto un ruolo importante nello sviluppo del mercato immobiliare, perché le novità introdotte nel 2003 hanno aumentato l’appetibilità di questi strumenti. E la componente tributaria continuerà ad avere un ruolo rilevante anche in futuro, con risvolti importanti per i singoli investitori e l’intera industria.
“La nuova disciplina ha cancellato la tassazione in capo al fondo, portandola in capo agli investitori”, spiega Leo De Rosa, responsabile della Divisione Tax Finance dello studio TMF Garlati&Gentili. “Inoltre, dal primo gennaio 2004 è stata eliminata l’imposta patrimoniale dell’1% e la tassazione è diventata reddituale sul 'realizzato'. Questo significa che viene applicata l’aliquota del 12,5%, come per gli altri fondi comuni, sui proventi periodicamente distribuiti dal fondo o sulla differenza tra il valore di riscatto e quello di sottoscrizione”. Nel caso di rendimento negativo, in fase di liquidazione della posizione, anche attraverso la vendita in Borsa, l’investitore può compensare la minusvalenza con plusvalenze realizzate con altri strumenti finanziari, sempre che abbia scelto il regime amministrato o gestito.
Ma quello che è emerso con maggior evidenza dalle modifiche legislative è il favore accordato ai fondi ad apporto, che non sono assoggettati all’Iva se vengono apportati una pluralità di immobili prevalentemente locati. “In base al decreto legge 220 dell’agosto 2004, questa operazione è assimilata al conferimento d’azienda”, spiega De Rosa, “anche se la mancanza di un regolamento attuativo rende difficile l’applicazione della norma, in quanto non è chiaro cosa si intenda per ‘prevalente’ e per ‘pluralità d’immobili’”. La norma ha creato una disparità tra i fondi di nuova generazione e quelli di prima generazione, che restano gravati dal credito d’imposta, in quanto i tempi di rimborso sono lunghi.
Bassa aliquota (12,5%) e differimento della tassazione al momento della distribuzione dei proventi hanno reso i fondi immobiliari competitivi a livello internazionale, perché in altri Paesi, come gli Stati Uniti e la Francia, è previsto l’obbligo di corrispondere periodicamente i dividendi. In futuro, c’è da attendersi, quindi, una maggior presenza di operatori esteri, anche perché, ricorda De Rosa, i non residenti godono di un trattamento fiscale favorevole, in quanto godono di una detassazione completa (i proventi non sono soggetti a ritenuta del 12,5%), che vale sia per gli istituzionali sia per i privati. Se da un lato serve ad attirare capitali esteri, dall’altro questo regime crea un’ingiusta disparità tra investitori domestici e non.
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