E’ quanto emerge dalla terza edizione della ricerca effett
uata da Morningstar in collaborazione con Sorgente Sgr, società di gestione specializzata in fondi immobiliari. Il rapporto ha messo a confronto l’industria italiana con quella del resto d’Europa e americana. Le performance dei fondi domestici sono risultate competitive a livello internazionale, anche se il 2004 è stato un altro anno positivo, in termini di rendimenti e di crescita degli asset un po’ ovunque. Negli Stati Uniti, il più grande mercato mondiale, la capitalizzazione di Borsa è salita a quasi 305 miliardi di dollari contro i 220 miliardi del 2003. In Europa, a parte la Germania, la popolarità di questi strumenti è aumentata e i ritorni, in termini di valorizzazione delle quote, sono stati mediamente superiori al 7%.
Per patrimonio, i fondi italiani sono ancora piccoli se confrontati con i big europei. Il più grande, Unicredito immobiliare Uno (Pioneer Investment Management) non arriva a 500 milioni di euro contro gli oltre 10 miliardi del tedesco HausInvest Europa (Commerz Grundbesitz Investment), che è il primo nel Vecchio continente per asset (dati al 31 dicembre 2004).
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Verso un’industria globale
Se il 2003 era stato l’anno dell’affermazione dei fondi immobiliari come strumenti di investimento e diversificazione del portafoglio, il 2004 è stato quello dell’uscita dai confini nazionali. Con l’eccezione di alcuni Paesi, come la Spagna, che rimangono a forte vocazione domestica per ragioni normative o culturali, il mercato sta diventando sempre più aperto. Ed è significativo che gli operatori maggiormente attivi siano americani, tedeschi e olandesi, quelli, cioè, che hanno una storia più lunga alle spalle. Londra e Parigi sono le città preferite dell’Europa occidentale, ma è crescente l’interesse per l’est e per i mercati asiatici. Sono ancora poco internazionali, invece, gli italiani: gli immobili esteri, infatti, rappresentano appena il 2% del portafoglio dei fondi.
Normative che dividono
Uno dei principali intralci all’internazionalizzazione dell’industria dei fondi immobiliari è l’assenza di una disciplina legale e fiscale omogenea. Il problema non riguarda solo i mercati emergenti, perché esistono differenze anche all’interno dell’area euro, dove il processo di convergenza procede lentamente. Il termine Real estate investment trust (Reit) indica comunemente uno strumento di investimento in immobili, ma le caratteristiche differiscono da Paese a Paese. Anche nei mercati dove esistono già fondi specializzati sul mattone, è aperto il dibattito sull’introduzione di trust analoghi a quelli americani. E’ il caso, ad esempio, del Regno Unito dove la discussione va avanti da oltre un anno, ma è diffusa l’opinione che la questione possa rientrare nella Legge finanziaria 2006, anche se restano da definire alcuni nodi importanti, come il regime fiscale e l’obbligatorietà della quotazione.
Fattori da non sottovalutare
Lo sviluppo dei fondi immobiliari è strettamente connesso all’andamento dell’economia. Per questo i mercati emergenti godono di un crescente interesse da parte degli investitori, attratti dalla prospettiva di elevati ritorni. In queste aree, tuttavia, assumono enorme rilevanza i fattori politici, economici e culturali. Nell’Europa dell’est, il focus è sui Paesi entrati a far parte dell’Unione europea l’anno scorso, in particolare Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, perché combinano allo sviluppo economico, che è superiore a quello del resto dell’Unione, la stabilità politica. In Cina, il mercato immobiliare è cresciuto a ritmi frenetici nel 2004, tanto da far temere una bolla, ma manca un veicolo di investimento trasparente ed efficiente dal punto di vista fiscale, quale potrebbe essere il Reit.
Sfide e opportunità
Aumento del numero di operatori, crescita dimensionale e apertura ai mercati esteri hanno il vantaggio di rendere l’industria più competitiva. Ma il maggior affollamento fa diminuire la disponibilità di immobili di qualità, con il rischio che nei portafogli entri la cosiddetta “seconda scelta”, con effetti negativi sulle performance. Il problema della qualità è particolarmente vivo sui mercati emergenti, che rappresentano quindi una sfida-opportunità: implicano un rischio elevato a fronte di rendimenti che possono essere maggiori di quelli offerti dalle aree più mature. Di sfida-opportunità si può parlare più in generale per l’intero processo di internazionalizzazione, che appare appena agli inizi. Finora si sono mossi solo i grandi player, anche perché i costi sono superiori all’investimento entro i confini nazionali e servono enormi economie di scala, ma in futuro la situazione potrebbe cambiare, soprattutto se il contesto normativo e fiscale diventerà più omogeneo.
La ricerca è stata condotta da Morningstar in collaborazione con Sorgente Sgr e ha riguardato nove mercati: Belgio, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti. Per il primo anno, inoltre, è stato introdotto un focus sui mercati emergenti dell’Asia e dell’Est Europa. I risultati saranno presto disponibili in un Cd Rom, che comprenderà anche i rapporti degli anni scorsi.
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