Aspettando nuove correzioni

Dai Treasury americani, ai Bund euro, ai titoli del debito giapponese, i mercati obbligazionari hanno intrapreso la via del ribasso, sulla scia dei buoni segnali dall’economia e già scontando la stretta monetaria Usa. Per ulteriori cali, sarà l’inflazione la variabile da osservare.

Maria Grazia Briganti 10/08/2005 | 16:20
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Puntuale come un orologio, per la decima volta consecutiva il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, è tornato ad alzare i tassi di riferimento americani, portandoli al 3,50%. I mercati obbligazionari, che da sei settimane avevano iniziato a correggere la loro corsa, hanno risposto tiepidamente alla stretta monetaria, perché già incorporata nelle attese.

Nonostante le ultime flessioni, i prezzi restano tuttavia ancora alti e i rendimenti sotto pressione, a causa di massicci acquisti.

Lo stesso Greenspan -che già a marzo parlava di enigma delle obbligazioni a lunga scadenza- ritiene che i livelli ancora bassi dei rendi

menti non si sposano con il reale scenario dell’economia americana, salita del 3,5% nel primo trimestre e che dovrebbe attestarsi al 4% per la seconda parte dell’anno.

Dopo la stretta monetaria di ieri, 9 agosto, il decennale americano è arrivato a quota 4,40%, dal 3,93% di fine giugno: un mese e mezzo in cui i mercati obbligazionari hanno perso circa l’1,5%, penalizzati dai dati congiunturali positivi come l’aumento dell’indice Ism manifatturiero, la crescita degli ordini all’industria e degli occupati, saliti di oltre 60mila unità più del previsto negli ultimi tre mesi.

Di poco impatto è invece stata la notizia che il Tesoro statunitense riaprirà le aste del titolo trentennale, sospese nel 2001, per la necessità di rendere più flessibile la gestione del debito, allungandone la scadenza, oltre che per rispondere alla sempre più forte domanda di titoli a lungo termine da parte dei fondi pensione.

Anche in Europa i tassi a lungo termine sono saliti, passando dal 3,13% al 3,38%, ma in misura inferiore rispetto a quelli americani, a causa della debolezza dell’economia del Vecchio Continente, che contribuisce ad ampliare il differenziale tra i rendimenti delle due aree. Alcuni dati congiunturali, come gli ordini all’industria che sono risultati in aumento per effetto della domanda sia estera che interna, hanno avvalorato le ipotesi di accelerazione degli investimenti e dei consumi delle famiglie. L’inflazione si mantiene stabile, ma su livelli elevati, lasciando intravedere un anticipo circa la prima stretta monetaria da parte della Banca Centrale europea.

Uno scenario che, spiegano gli analisti di Centrosim “è stato accompagnato dall’annuncio della Banca Centrale Russa che ha ridotto dal 70% al 65% il peso del dollaro nel suo paniere valutario a vantaggio dell'euro (dal 30% al 35%) e ha ulteriormente rafforzato la valuta unica”, che in settimana è arrivata a quota 1,24 contro il dollaro.

Anche i rendimenti inglesi sono aumentati: il Gilt decennale è passato da 4,19% del 30 giugno al 4,41% del 5 agosto, ma deve fare i conti con una politica monetaria più accomodante. Dopo due anni di immobilismo, a causa dei segnali di rallentamento dell'economia britannica, la Bank of England, ha tagliato il tasso di riferimento dal 4,75% al 4,50% e la sterlina ha perso terreno contro le principali valute.

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Maria Grazia Briganti  è stata editor & analyst di Morningstar Italy

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