Il problema è solo rimandato

Il mercato resta favorevole ai titoli obbligazionari e si accontenta anche di differenziali contenuti. Fino a quando liquidità abbondante e propensione al rischio lo consentiranno. Ma se gli spread dovessero allargarsi, il peso dell'indebitamento italiano tornerebbe a salire.

Maria Grazia Briganti 11/08/2005 | 15:25
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L’ultimo declassamento è arrivato lo scorso anno. Puntuale, dopo il monito sulle prospettive economiche del gennaio 2003, il 7 luglio di un anno fa il debito italiano è diventato AA-. Tripla A non lo è più dal 1991, a differenza di Francia, Germania e Spagna, solo per citare i paesi principali dell’area euro, che invece lo sono ancora oggi.

Quest’anno, S&P’s ci riprova. Ancora 18 mesi e poi, se nel frattempo non saranno state prese misure importanti, l’Italia vedrà nuovamente abbassato il proprio rating sul debito sia a lungo che a breve termine.

L’annuncio è arrivato un po’ a sorpresa sui mercati, che al momento si stanno lim

itando a guardare, ma ha il sapore amaro di una bocciatura, proprio in un periodo in cui si stanno verificando movimenti che rischiano di cambiare l’assetto societario del Paese e che stanno minando la credibilità e il peso dell’Italia sulla scena internazionale.

Le valutazioni degli analisti della società statunitense si soffermano, in particolare, sulla percentuale di disavanzo pubblico, per il 2005 fissata al 4,3%, ma che nel 2006 arriverà al 5%, mentre anche il rapporto debito/Prodotto Interno lordo potrebbe, secondo le stime, lievitare fino al 110% nel 2007, un valore scomodo per un paese come l’Italia, già al terzo posto al mondo per debito pubblico in termini di Pil, dopo Giappone e Grecia.

Proprio su questo rapporto peserebbe l’eventuale downgrade del debito sovrano. Non sull’euro che, a differenza della lira, sulla quale 15 anni fa si sarebbe abbattuta una tempesta valutaria, poco risente delle condizioni particolari relative a ciascuno stato, ma piuttosto della situazione economica dell’area in generale.

Non sull'andamento di piazza Affari, che vive di luce propria grazie alla sua particolare composizione difensiva e all’appetibilità di alcune società sulle quali, a turno, si concentrano le attenzioni del mercato.

Ma è sul costo sostenuto dal Tesoro italiano per rifinanziare l’ingente mole di debito, che peserebbe l’inevitabile innalzamento degli spread rispetto al Bund tedesco. Ad oggi, un Btp decennale costa allo stato italiano (e ai suoi cittadini) 20 punti base in più di un titolo tedesco di pari scadenza, ma le attuali condizioni di mercato sono ancora molto generose. Vale a dire che il livello di liquidità è elevato e il premio al rischio è basso.

In uno scenario in cui tutto il mercato obbligazionario è in una situazione di ipercomprato, i differenziali richiesti degli investitori per l’acquisto di titoli con rating più basso restano contenuti. Uno scenario che però potrebbe cambiare se sul mercato dovessero verificarsi degli shock, il rischio dovesse aumentare e gli investitori decidessero di non accontentarsi più richiedendo premi al rischio più elevati.

Poi potrebbero cambiare le condizioni dell’Italia. In presenza di un deterioramento dell’economia, del rigore fiscale e quindi dei parametri di stabilità, tale da impensierire gli investitori, gli spread potrebbero allargarsi in pochissimo tempo. Si calcola che dal gennaio 1999 ad oggi, la media dei differenziali tra decennali italiani e tedeschi sfiori i 25 punti base. Siamo dunque a livelli ancora inferiori alla media storica, e con buoni margini di rialzo.

Il rischio che la campagna elettorale, che si sta facendo sempre più calda, possa portare a un aumento incontrollato di spesa pubblica, incoerente con la politica di risanamento del bilancio, esiste, ed è dietro l’angolo.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Maria Grazia Briganti  è stata editor & analyst di Morningstar Italy

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