Gli asset manager non sentono, invece, la necessità di lanciare fondi focalizzati sui principali Paesi del sud America, come sta avvenendo per l’Asia con l’offerta di prodotti che puntano su Cina, Taiwan o Indonesia.
L’America Latina si trova oggi in una stagione molto calda dal p
unto di vista politico. Dopo le elezioni argentine della scorsa settimana, anche l’Honduras, il Venezuela, la Bolivia e il Cile andranno alle urne entro la fine dell’anno e, tra luglio e ottobre 2006, sarà la volta di Messico e Brasile. In totale le elezioni riguarderanno l’85% del prodotto interno della regione e della sua popolazione.
Di conseguenza, per il 92% dei gestori, le elezioni influenzeranno i mercati finanziari e le prospettive economiche dell’area, che resta però anche estremamente legata all’andamento dei tassi americani. Il 53% degli intervistati ritiene che l’America Latina sarà penalizzata dalla politica monetaria restrittiva statunitense più degli altri Paesi emergenti. Nonostante questo, i titoli obbligazionari costituiscono un buon investimento per il 58%, contro il 33% che li reputa un’asset da evitare.
Borse in salita, Giappone ancora al top.
Sulla scena internazionale, e confermando i risultati del precedente sondaggio, il Giappone resta il mercato favorito per i prossimi 12 mesi, mentre Wall Street continua a non raccogliere preferenze e per il 57% dei gestori sarà la piazza più debole del prossimo anno (era il 50% a settembre).
Non punterà sul dollaro il 42% degli asset manager europei, nonostante il previsto aumento del differenziale dei tassi Usa-Ue potrebbe risollevare le sorti del biglietto verde. Nessun gestore, inoltre, dà un giudizio positivo sulla sterlina inglese.
Lo Yen si apprezzerà secondo il 45% dei gestori, che invece appaiono divisi per quanto riguarda le sorti dell’euro: la moneta unica sarà la valuta più performante per il 30% dei manager, la più debole per il 31%.
Tra i settori, sono ancora positive le attese sui titoli farmaceutici ed energetici, mentre le performance più deludenti proverranno da utilities e beni di consumo, penalizzati, rispettivamente, dall’aumento dei tassi americani e dal risveglio dell’inflazione.
Rispetto ai mesi passati, i gestori sono più cauti sul fronte dei bond: dicono no a high yield ed emergenti e preferiscono le emissioni di qualità, che siano governative o corporate con elevato merito di credito.
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