Il differenziale (spread) tra i titoli emergenti e quelli statunitensi ha toccato il minimo all’inizio di maggio, con l’indice JP Morgan EMBI+ (Emerging market bond index plus) sceso a 174,5 punti base dai 239 di gennaio. Oltre alle decisioni di politica monetaria adott
ate dalla Federal Reserve, ha inciso sul comparto la solida crescita economica registrata dalle regioni in via di sviluppo, in particolare Asia e America Latina.
L’attenzione si è focalizzata sui crediti parastatali e le emissioni di società che hanno realizzato con successo processi di ristrutturazione in Paesi, come l’Argentina, che si sono risollevati dal default. La nuova strategia di gestione ammette l’utilizzo della leva valutaria (il 10% del portafoglio è investito in divise locali): la preferenza va agli Stati che hanno un forte surplus di partite correnti, tra cui il Brasile, perché le loro monete sono supportate dal fatto che essi finanziano il debito americano, europeo e giapponese con l’acquisto dei titoli governativi.
Per Saichin, il ribasso dei mercati obbligazionari emergenti nella prima parte del 2006 ha motivi tecnici, non fondamentali, in quanto il miglioramento delle economie in via di sviluppo “non è temporaneo”, ma “strutturale”. “Le fasi di correzione”, aggiunge, “possono creare opportunità d’investimento”.
Estratto aggiornato dell’articolo apparso su “Il Mondo” del 9 giugno 2006.
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