Cominciamo dai tempi. Il Governo ha presentato un disegno di legge (Ddl) che contiene la delega per il riordino della tassazione delle rendite finanziarie. La commissione Finanze della Camera ha appena iniziato l’esame di tale Ddl.
Passiamo ora alle proposte di riforma. Nella Relazione finale,
redatta dall’apposita commissione di studio istituita presso il ministero dell’Economia e delle Finanze e presieduta da Maria Cecilia Guerra, viene suggerita l’adozione di un’aliquota unica, fino a un massimo del 20%, in sostituzione delle due attualmente in vigore, ossia il 12,5%, che grava sui prodotti del risparmio gestito, sui titoli di Stato, le obbligazioni, le azioni e i pronti contro termine, e il 27% applicato a conti correnti, depositi bancari e postali.
La nuova aliquota dovrebbe essere applicata solo ai redditi maturati a partire dalla data del varo della riforma, per evitare effetti retroattivi, e valere per tutti gli strumenti finanziari, compresi quelli già emessi. L’obiettivo è di evitare la segmentazione del mercato e le operazioni di arbitraggio da parte di soggetti, come le banche e i non residenti, che non sono interessati dalla variazione.
Per quanto riguarda il meccanismo di tassazione, sono state proposte diverse soluzioni. Per comprenderle, però, è bene ricordare che in Italia esistono tre regimi: del risparmio gestito, dell’amministrato e del dichiarativo. Gli ultimi due prevedono il pagamento delle imposte solo al momento del disinvestimento (ossia sul realizzato), mentre il primo sistema, che è utilizzato dai fondi italiani, è basato sul maturato, per cui l’imposizione è applicata di anno in anno anche se l’investitore non incassa.
La tassazione sul maturato svantaggia il regime del gestito rispetto agli altri due, scompenso solo in parte equilibrato dalla possibilità di dedurre le minusvalenze (minori guadagni derivanti dalla differenza tra il valore di acquisto e quello di vendita) e le altre perdite non solo nei confronti delle plusvalenze, ma anche nella maggior parte degli interessi e dei dividendi (redditi di capitale).
Una prima proposta di riforma prevede l’eliminazione della disparità tra fondi italiani ed esteri, spostando la tassazione in capo al sottoscrittore (oggi è in capo al fondo) e ricorrendo a un'imposizione sul maturato, applicando, però, un meccanismo di equalizzazione al momento della cessione delle quote valido per tutte e due le tipologie di prodotti. Tuttavia, tale via non risolve completamente il problema delle disuguaglianze tra regimi.
Una seconda proposta consiste nell’adozione del principio della realizzazione in modo uniforme e la terza suggerisce l’impiego della tassazione sul maturato per tutti i redditi finanziari, escludendo la soggettività tributaria dei fondi. Infine, si sta facendo strada una quarta soluzione, anticipata dal Sole 24 Ore, di imposizione al momento del disinvestimento, ma con meccanismi correttivi per i redditi realizzati dopo aver mantenuto lo strumento per più di un anno, da adottare nei regimi dichiarativi e di amministrato per ottenere una sostanziale equivalenza con il gestito.
La formula, assicurano gli addetti ai lavori, dovrebbe essere più semplice di quella adottata in seguito alla riforma Visco del 1998, nota come equalizzatore, che successivamente fu impugnata dal Codacons e sospesa dal Tar del Lazio, per poi essere abrogata nel 2001. Indipendentemente dall’esito del dibattito, è auspicabile che il meccanismo sia di facile comprensione per i risparmiatori, altrimenti la riforma vanificherà l’obiettivo della semplificazione e della trasparenza.
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