La direttiva è destinata a rappresentare un momento di svolta per i mercati e gli intermediari e, a differenza della precedente normativa, si pone l’ambizioso obiettivo di promuovere un unic
o mercato europeo dei servizi finanziari, che porti a una riduzione dei costi e offra più trasparenza e scelta per gli investitori. Tra i principi base, infatti, vi è il divieto imposto agli Stati membri di stabilire obblighi aggiuntivi per le imprese del settore.
In alcuni casi, le nuove norme sono il risultato di un travagliato cammino. Un esempio che vale per tutti è quello della consulenza. Come rileva Luca Zitiello nel volume Mifid. La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, in Italia, la prima regolamentazione in materia è stata dettata nel 1991 e comprendeva tale attività tra quelle di intermediazione mobiliare, sottoponendola ad autorizzazione e riservandola agli intermediari abilitati. Successivamente venne liberalizzata e ampio è stato il dibattito in mancanza di una rigorosa definizione di questo servizio. Ora, la direttiva europea inverte la rotta e torna a riservare tale attività a soggetti in possesso di determinate caratteristiche e sottoposti a controlli di vigilanza. Viene, infatti, istituito un albo sottoposto alla vigilanza della Consob.
La Mifid tocca da vicino l’investitore finale, che assume un ruolo più attivo, perché sono introdotti diversi livelli di servizio, dalla mera esecuzione degli ordini (execution only), attività per la quale l’intermediario non è tenuto a chiedere informazioni aggiuntive al cliente per valutare l’appropriatezza degli strumenti finanziari offerti, al più complesso servizio di consulenza, distinto dalla fornitura di consigli generici. Inoltre, la direttiva stabilisce tre tipi di clienti: le controparti qualificate, che operano nei servizi di negoziazione e raccolta ordini, gli operatori professionali, che possiedono l’esperienza e le competenze per prendere autonomamente le proprie decisioni e valutare correttamente i rischi, e i clienti al dettaglio, i quali necessitano di un maggior livello di tutela.
Sempre ispirato alla tutela e trasparenza nei confronti dell’investitore finale è la disciplina sugli inducements (particolari incentivi legati alla prestazione di servizi finanziari), che detta criteri per suddividere le pratiche ammesse da quelle proibite. Per quelle ammesse, in ogni caso, la direttiva pone alcune condizioni: la comunicazione chiara al cliente, la garanzia della qualità del servizio, l’obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente.
Sulla stessa linea si pone la disciplina dei conflitti di interesse, nodo delicato soprattutto nel rapporto tra banche e fondi. Gli intermediari dovranno adottare misure adeguate per identificarli e gestirli in modo che non danneggino i clienti. Se non potranno eliminarli, dovranno, comunque, esporli in modo chiaro all’investitore.
La direttiva, dunque, pone le basi per una maggior trasparenza e tutela degli investitori, ma cerca anche di responsabilizzare questi ultimi, che assumono, nel bene e nel male, un ruolo attivo nelle scelte in merito ai propri risparmi. La Mifid può rappresentare una rivoluzione, come molti l’hanno definita, ma solo se non sarà trattata con superficialità né dagli intermediari né dai clienti.
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