L’unico elemento che sembra rasserenare gli investitori sono le trimestrali delle aziende e le loro previsioni per la fine dell’anno. Stime, peraltro riviste leggermente al ribasso ma sufficienti, in questo momento, a far sperare che l’uscita del tunnel sia vicina.
“Noi vediamo ancora il bicchiere mezzo pieno”, scrive Ad Van Tiggelen, senior strategist di Ing
Investment Management in una nota intitolata Allacciate le cinture di sicurezza, ma niente panico. “Nei prossimi 6-12 mesi sarà ancora possibile guadagnare con il mercato azionario. Gli investitori si dovrebbero concentrare sui titoli delle aziende più grandi, con bilanci solidi e una crescita degli utili sopra la media. Anche se sembrano costosi. In una situazione di mercato come questa le azioni ad alta crescita tendono a diventare sempre più chiare. E’ come salire sulle montagne russe, ma è una corsa che vale la pena fare”.
Stati Uniti L’indice Msci North America nelle ultime cinque sedute ha perso più del 3,5%. Gli Usa si trovano ancora a fare i conti con gli effetti della crisi dei subprime (i mutui di bassa qualità). Wachovia, la quarta banca degli Stati Uniti, ha annunciato che il valore dei prodotti che aveva costruito su questi strumenti è diminuito, ad ottobre, di 1,1 miliardi di dollari. Barclay’s, invece, secondo i rumor, sempre per lo stesso motivo potrebbe dover fare una svalutazione da oltre 21 miliardi di dollari (l’istituto ha negato). E si tratta soltanto degli ultimi esempi della settimana.
Gli operatori, intanto, si interrogano sul futuro dei tassi Usa. La maggior parte degli economisti ormai, concorda nel ritenere inevitabile un nuovo taglio dei tassi durante la riunione della Federal Reserve dell’11 dicembre. Mantenere il costo del denaro ancora al 4,5%, aggiungono gli analisti, potrebbe avere effetti negativi su azioni e obbligazioni. L’attenzione del presidente della Banca centrale americana Ben Bernanke, tuttavia, più che sui mercati resta sull’inflazione. A preoccupare sempre è l’andamento del settore immobiliare. Secondo il numero uno della Fed ogni dollaro in meno nel valore delle case incide sulla capacità di spesa degli americani per 4-9 centesimi. La fiducia dei consumatori, intanto, è arrivata ai mini degli ultimi due anni.
Europa L’indice Msci del Vecchio continente nell’ultima settimana ha perso più del 2%. Chi investe in Europa punta tutto sui risultati aziendali, ma deve comunque fare i conti con il petrolio arrivato a un passo dai 100 dollari al barile e un euro forte (1,47 contro dollaro) che rischia di frenare le esportazioni. Fra le società quotate sullo Stoxx 50, 32 hanno già comunicato i risultati. Di queste, 18 hanno battuto le attese degli analisti. Secondo gli operatori quest’anno i profitti delle aziende di Eurolandia saranno, in media, superiori del 9,2% rispetto a quelli del 2006. Il dato è leggermente inferiore rispetto alle stime precedenti (+9,9%) ma dagli analisti viene considerato ancora buono. Soprattutto considerando che si sta ancora parlando degli effetti della crisi subprime. Tenendo conto di questo scenario le azioni del Vecchio continente continuano ad essere considerate interessanti.
Nel frattempo tornano i segnali di fusioni e acquisizioni di un certo livello. L’ultimo tentativo è stato quello di Bhp nei confronti di Rio Tinto. Questo potrebbe portare attenzione sulle società delle materie prime. La Bce ha mantenuto fermi al 4% i tassi di interesse dell’area euro. La decisione era scontata, anche se l’inflazione di ottobre, secondo i dati dell’Unione europea, è arrivata al 2,6% superando per il secondo mese consecutivo il limite del 2%. Secondo gli analisti, tuttavia, non ci dovrebbero essere manovre sui tassi almeno fino alla fine dell’anno, anche perché non è ancora chiaro l’effetto della crisi subprime.
Asia L’indice Msci dell’area nell’ultima ottava ha perso quasi il 4%, la peggiore performance da agosto. Anche in questo caso a pesare sono stati gli strascichi dei mutui americani di bassa qualità. Di questi strumenti (e sta venendo fuori adesso) erano piene anche le banche della zona. La situazione è talmente pesante che alcuni istituti hanno preferito rimettere nel cassetto i progetti di fusione.
Bisogna poi sempre fare i conti con la situazione degli Stati Uniti. Un rallentamento dell’economia – per tacere di una eventuale recessione – metterebbe nei guai le aziende dell’export che dipendono, in massima parte, dalla richiesta americana. Si salvano, almeno per il momento le materie prime. La richiesta, soprattutto dalla parte della Cina, continua a essere forte. I tentativi di matrimonio fra aziende del comparto, inoltre, sta dando qualche soddisfazione agli azionisti che hanno deciso di scommetterci.
Lo stesso non si può dire per chi ha deciso di puntare sul Giappone. L’indice Msci del Sol levante nell’ultima settimana ha perso più del 7%. Anche in questo caso ci sono le stesse zavorre del resto della regione: pericolo subprime e rallentamento degli Usa. Il pericolo per l’economia nipponica è una realtà per la Bank of Japan che, secondo gli economisti, settimana prossima potrebbe non toccare i tassi di interesse per non compromettere una situazione già molto delicata.
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