Nonostante i tentativi di ripresa degli ultimi due giorni, l’intero settore finanziario resta vulnerabile agli attacchi di panico che si scatenano sui mercati ogni qualvolta emerge qualche notizia relativa al mercato del credito e dei mutui americani.
Un banco di prova atteso, quello dei dati del terzo trimestre, che ha visto i maggiori istituti proseguire nella svalutazione dei propri portafogli e lasciare intendere che permangono esposizioni ai titoli di debito di bassa qualità iscritte nei bilanci, in alcuni casi ancora frutto di stime che si basano anche sull’evolversi delle condizioni del mercato.
E la situazione potrebbe essere ancora più grave negli Usa tra le banche di piccole dimensioni e su base regionale.
A infliggere un duro colpo al settore, sceso nell’ultimo mese dell’11% (indice Msci world Financial in euro), è stato in particolare il crollo di Citigroup. La maggiore banca americana - che negli ultimi trenta giorni ha perso il suo presidente e amministratore delegato Charles Prince e il 25% in Borsa (che comprende un dividendo cash di 0,54 dollari) - ha comunicato che potrebbe registrare ancora svalutazioni per 11 miliardi di dollari, che si aggiungerebbero ai sei miliardi del terzo trimestre.
Anche Merrill Lynch ha dovuto fare i conti con il cambio dei vertici dopo le dimissioni di Stanley O’Neal, che ha lasciato la società con un buco di 2,3 miliardi di dollari. E la lista non è finita.
Bank of America, la seconda banca Usa, prevede una svalutazione di 3 miliardi di dollari nei conti del quarto trimestre, collegata alle perdite sui Cdo. Un aumento delle passività che potrebbe anche crescere se le condizioni di mercato dovessero peggiorare.
In Italia la situazione non è più rosea, per via del peso specifico, circa il 27%, che il comparto bancario assume sul listino domestico. Le vendite hanno colpito in particolare Unicredito, che nell’ultimo mese ha lasciato sul campo quasi il 7%, il 22% nei sei mesi (dati al 13 novembre). L’istituto rimane uno dei titoli più vulnerabili tra i bancari a causa del suo business globalizzato e della fusione in corso con Capitalia.
Benché il gruppo abbia solo “un'esposizione marginale ai mutui americani di bassa qualità”, spiega la società nel comunicato trimestrale, il più alto costo del funding, cioè dell'approvvigionamento di liquidità e l'allargamento degli spread hanno impattato negativamente sulla linea di 'structured credit'".
A ridare fiducia al gruppo sono stati i dati del terzo trimestre: l’utile netto è salito del 19% sullo stesso periodo del 2006, mentre nei primi nove mesi è stato di 4,729 miliardi di euro il 26,8% in più rispetto al 2006. Si tratta tuttavia di conti che ancora non tengono in conto la fusione con Capitalia, che ha presentato la sua trimestrale separatamente.
Ancora in difficoltà Banca Italease, che ha limitato al 6% le perdite nel mese, mentre nel semestre ha perso il 68% del suo valore. La banca italiana più esposta alla crisi del mercato del credito, ha sborsato 778 milioni per chiudere la partita dei derivati con le altre banche, archiviando il primo semestre una perdita di 478 milioni di euro, cui ha dovuto far fronte con un aumento di capitale di 770 milioni di euro.
Nel frattempo, Banca d’Italia sta conducendo un’indagine su quattro istituti di credito in relazione alle attività con i derivati, soprattutto quelle stipulate con gli enti locali. Si calcola che tra dicembre 2005 e
agosto 2007 gli enti abbiano ricorso a questi strumenti per coprire il loro fabbisogno di cassa, fino a oltre 1 miliardo di euro.
In generale, spiegano gli strategist di Centrosim, “le banche domestiche mostrano un elevato grado di liquidità, una prudente gestione del portafoglio mutui (basso loan-to-value), un favorevole ciclo del rischio di credito, un’adeguata base di capitale”. Tuttavia, in questa specifica fase di mercato, è meglio preferire i nomi più difensivi, con un basso profilo di rischio.
Il fatto che il sentiment del mercato resti improntato alla cautela e all’avversione al rischio anche sul mercato italiano ha portato ad accogliere con freddezza e addirittura con prese di beneficio anche alcuni tentativi di aggregazione, come quello che ha coinvolto Monte Paschi che ha messo sul piatto nove miliardi di euro per acquisire Banca Antonveneta e crescere in questo modo nel Nord Est della penisola.
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