In Europa, solo la Svizzera ha registrato un risultato negativo, ma il bilancio è stato meno pesante di quello italiano. Era dal 2002 che gli indici di Piazza Affari non archiviavano 12 mesi in perdita.
Una delusione non da poco per gli investitori, abituati a quattro anni di rialzi e fiduciosi che la partenza in crescita del 2007 fosse il preludio di un altro anno all’insegna dei r
ialzi. A guidarli, in particolare, il risiko bancario che avrebbe, nelle stime di inizio anno, contribuito alla crescita del listino e all’efficienza del sistema finanziario.
Il panorama bancario, nel corso di questi 12 mesi, è infatti cambiato a favore di una maggiore concentrazione: basti pensare alle maxi fusioni tra Intesa e Sanpaolo, tra Capitalia e il gruppo Unicredito, e all’acquisizione di Banca Antonveneta da parte di Mps. Nulla di fatto, invece, sul fronte degli istituti popolari, per i quali, dopo un acceso dibattito politico, restano in vigore le particolari clausole statutarie che rendono di fatto impossibile qualunque tipo di operazione di fusione o acquisizione.
In realtà, le banche (-12,46% l’indice settoriale di Borsa Italiana nel 2007) e i titoli finanziari (-10,7%), sono considerati una delle cause principali della cattiva performance di Piazza Affari, perché coinvolti nella crisi del credito internazionale seguita allo scoppio della bolla subprime.
Una spiegazione che sta stretta a molti economisti i quali rintracciano nel rallentamento dell’economia, nella perdurante forza dell’euro e nella scarsa forza competitiva delle imprese nostrane la reale causa che rende gli investitori internazionali tiepidi nei confronti dell’Italia e li spinge a indirizzare altrove i loro flussi di investimento.
Eppure, sotto altri punti di vista, il 2007 è stato un anno di record. Grazie alla fusione con London Stock Exchange, il primo ottobre, Borsa Italiana ha dato il via al più grande polo borsistico europeo, con una capitalizzazione che sfiora i 3,5 miliardi di euro.
Anche il numero delle società quotate ha raggiunto il record delle 344 unità, grazie alle 32 matricole che hanno sfidato il debole andamento del listino e hanno comunque deciso di aprirsi al mercato. Il bilancio delle nuove ammissioni a quotazione è, nella maggior parte dei casi, ancora positivo e solo in poche occasioni le Ipo sono state accolte con una certa freddezza da parte del pubblico. Per Maire Techimont ed Enia, tra le quotazioni del secondo semestre, i rialzi sono stati superiori al 15%.
Ricalcando le sorti del listino domestico, i fondi specializzati su Piazza Affari non hanno potuto sottrarsi alla flessione. Dei 124 prodotti venduti in Italia, solo 70 hanno fatto meglio del Mibtel, gli altri hanno perso più dell’indice. Sulla stessa scia si sono mossi anche i riscatti da parte dei sottoscrittori, che hanno preferito prendere profitto e alleggerire le posizioni azionarie a favore di strumenti meno rischiosi e tradizionali come i titoli di Stato. Da gennaio a novembre 2007, dalle casse di questi fondi sono defluiti più di due miliardi e mezzo di euro.
Con questi presupposti e considerando le stime sullo scenario internazionale, alcuni analisti sostengono che i temi di investimento per tornare su Piazza Affari nel 2008 non mancano, ma è necessaria una certa cautela almeno per tutto il primo semestre. La politica dei dividendi che tradizionalmente rende le società italiane le più generose nel panorama europeo continuerà a sostenere soprattutto le Blue Chips. A questo si aggiunge che il calo delle quotazioni ha reso le valutazioni azionarie più interessanti perché il rapporto tra prezzo e utili (p/e) è ulteriormente diminuito dopo il calo del 2007.
Per il resto, il mercato italiano seguirà l’andamento di quelli europei, beneficiando di un’eventuale ripresa della congiuntura americana e della chiusura del capitolo subprime dalla scena del credito internazionale.
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