Protagonisti dei debutti sono stati i prodotti di nuova generazione, conosciuti come absolute return. Secondo
le statistiche di Assogestioni, il tasso di crescita è stato superiore al 50% nell’ultimo anno. Tuttavia, nelle preferenze dei risparmiatori hanno subito una brusca battuta d’arresto in estate in seguito alla discesa estiva dei mercati causata dalla crisi dei mutui subprime (quelli di bassa qualità americani).
Gli italiani che amano il rischio, però, sono sempre meno, come mostra la minor partecipazione alla Borsa rispetto al resto d’Europa. Questo aspetto è accentuato dal progressivo invecchiamento dei sottoscrittori di fondi. Secondo il rapporto annuale di Assogestioni, infatti, nell’ultimo decennio, l’età media è aumentata di 5,7 anni a 54,7 anni. Inoltre, dopo il forte incremento registrato nella seconda metà degli anni Novanta, il numero di sottoscrittori è rimasto pressoché costante, intorno a 11 milioni di individui. Tra le cause della limitata esposizione al risparmio gestito, c’è la diminuzione della quota di reddito destinata agli investimenti per effetto dell’aumento dell’incidenza della spesa per consumi ricorrenti e per la casa, che ha costretto gli italiani ad indebitarsi di più.
L’intera industria del risparmio gestito, non solo quella dei fondi, risente del mutato contesto socio-economico. Il patrimonio complessivo, che un anno fa superava i 1.100 miliardi, è sceso a 1.060 miliardi a novembre. I riscatti hanno colpito pesantemente le gestioni patrimoniali in fondi e, in misura minore, quelle mobiliari, mentre il comparto assicurativo si è stabilizzato e quello previdenziale ha registrato un incremento, anche se gli asset complessivi restano limitati, nonostante le nuove regole sul Trattamento di fine rapporto.
In realtà, quella previdenziale è una riforma che è riuscita solo a metà e resta una sfida non solo per i lavoratori, ma anche per l’industria. Una sfida che può trasformarsi in opportunità. E’ sempre più sentita, infatti, l’esigenza di prodotti per ultra-sessantenni, pensati non tanto per la fase di accrescimento del capitale, tipica del periodo lavorativo, quanto per quella di “de-cumulo”.
Un’altra ventata di nuovo è stata portata dalla Mifid, la direttiva comunitaria sui mercati e gli strumenti finanziari entrata in vigore il 1° novembre. La normativa, che si è posta l’ambizioso obiettivo di promuovere un unico mercato europeo dei servizi finanziari, ha introdotto numerose novità, tra cui l’abolizione dell’obbligo di concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati, l’introduzione di misure per tutelare di più l’investitore, il riconoscimento della figura del consulente indipendente e la disciplina dei conflitti di interesse. Nulla è cambiato, invece, sul fronte fiscale, nonostante le pressioni della categoria per un’equiparazione del trattamento dei fondi di diritto italiano a quello riservato agli esteri.
Se la curva della raccolta dei fondi è tutta in discesa, quella degli Exchange traded fund (Etf) è in rapida crescita. A Piazza Affari, i fondi indicizzati hanno superato quota duecento. Rispetto al 2006, il numero è più che raddoppiato e da settembre 2002, quando sono stati quotati i primi fondi, la crescita è stata esponenziale. Il 2007 ha segnato una svolta nell’offerta perché accanto agli strumenti tradizionali (azionari e obbligazionari, geografici e settoriali) si sono affiancati gli Exchange traded commodities (Etc) sulle materie prime e gli strutturati, che consentono di cavalcare la discesa dei mercati o usare l’effetto leva. L’ultima frontiera è rappresentata dagli Etf sugli indici fondamentali e sugli “intelligent index” che replicano benchmark elaborati con metodologie quantitative. In Borsa, non è solo aumentata la gamma, ma sono esplosi gli scambi. I contratti medi giornalieri nel 2007 hanno sfiorato quota 5.400, con un turnover che è raddoppiato rispetto a un anno fa.
Secondo uno studio di McKinsey, il mercato va verso una progressiva polarizzazione tra strumenti passivi, come gli Exchange traded fund, e attivi (flessibili). La conseguenza è la caduta delle barriere tra società di gestione tradizionali, banche d’investimento, compagnie assicurative, private equity ed hedge fund. Il 2008 svelerà se l’industria sarà in grado di cogliere la sfida, anche se restano molti nodi da sciogliere per rendere le imprese nazionali competitive, a partire dall’autonomia rispetto ai gruppi bancari di appartenenza, sempre meno propensi a vendere i fondi. Sarà importante anche capire quanto inciderà la nuova direttiva comunitaria e quali effetti genererà sia a livello di produzione che di distribuzione. Sullo sfondo ci sono mercati che, dicono gli esperti, saranno meno generosi rispetto agli anni passati e che potrebbero allontanare molti risparmiatori dai prodotti finanziari.
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