La bozza fissa prima di tutto i requisiti che debbono contrassegnare gli attivi dei fondi armonizzati, in particolare la coerenza rispetto alla
politica di investimento, la pronta liquidabilità, la limitazione all’esposizione di perdite (eccetto gli investimenti in strumenti finanziari derivati), la sottoposizione ad adeguati sistemi e procedure di controllo dei rischi. Il regolamento indica, poi, una serie di classi di beni che possono diventare asset “eleggibili” se rispettano questi parametri e la disciplina specifica.
I derivati di credito sono strumenti finanziari che hanno per oggetto il trasferimento del rischio di credito connesso ad una determinata attività sottostante. Per quanto riguarda quelli quotati, prima di inserirli in portafoglio, il gestore deve valutare che il rischio di credito trasferito sia associato a classi di attivi in cui l’Oicr può investire. Inoltre, tali strumenti non devono prevedere meccanismi di regolamento con consegna di attività diverse da quelle in cui il fondo può investire.
Per i derivati creditizi non quotati, (in genere credit default swap negoziati over the counter, ossia sui mercati non regolamentati), la Banca d’Italia detta i canoni interpretativi per capire se questi strumenti sono oggetto di “valutazioni affidabili e verificabili”. Come spiega Caracino, i requisiti sono “l’esistenza di un prezzo aggiornato ed attendibile dello strumento e la sottoposizione della valutazione ad una verifica compiuta da un soggetto terzo indipendente ovvero da una funzione ad hoc interna della società di gestione strutturalmente indipendente dagli organi deputati alla gestione”.
I fondi che impiegheranno gli strumenti finanziari derivati dovranno essere etichettati come “sofisticati”, in modo da renderne consapevole l’investitore. A tal fine l’organo di supervisione strategica della sgr dovrà valutare il grado di incidenza degli strumenti finanziari derivati sul totale del portafoglio, la complessità dei derivati utilizzati e delle tecniche di investimento adottate.
“Sotto il profilo operativo il documento configura un sistema di misurazione dell’esposizione complessiva in strumenti finanziari derivati contrassegnato come il metodo dei modelli interni”, afferma Caracino. “In sintesi viene data alla società l’opportunità di dotarsi di propri schemi di analisi dell’esposizione in derivati che devono soddisfare una serie di requisiti organizzativi volti a consentire un controllo quotidiano dell’esposizione al rischio di mercato complessivo del portafoglio calcolata attraverso un approccio fondato su procedure statistiche (come il VaR, value at risk).
Tale sistema di valutazione dovrà essere autorizzato dalla Banca d’Italia ed utilizzato in abbinamento ad un programma di prove di stress per l’individuazione di eventi o fattori che potrebbero incrementare in modo rilevante la rischiosità del portafoglio.
La bozza di regolamento specifica anche le caratteristiche che devono avere gli indici finanziari per essere qualificati come parametri eleggibili per la strutturazione di strumenti derivati. I requisiti sono l’adeguata diversificazione, la capacità di rappresentare un benchmark adeguato per il mercato al quale si riferiscono, la pubblicità. Non viene invece precisato se gli indici di hedge funds possono essere considerati eligible assets.
“Tanto la direttiva 2007/16/CE quanto il provvedimento di recepimento in consultazione non si esprimono sul punto”, dice Caracino. “Sul tema esiste invece un documento del Cesr (Comitato europeo delle autorità di vigilanza) che fissa i principi e le regole da rispettare sull’utilizzo di indici di hedge funds la cui idoneità andrebbe verificata valutando attentamente la qualità dell’indice in questione, intesa come comprensibilità della metodologia di strutturazione, la disponibilità di informazioni sullo stesso e le modalità di trattamento delle componenti dell’indice”.
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