Secondo i dati dell’Efama, l’associazione degli asset manager europei, tutti gli stati ad eccezione di Francia, Svizzera, Regno Unito e naturalmente Lussemburgo, stanno registrando profondi deflussi: l’Italia è in testa con oltre 84 miliardi persi nel corso dei primi sette mesi del 2008.
A parte questo trend, che storicamente si rafforza a inizio estate, perché gli investitori preferiscono alleggerire i portafogli e partire per le vacanze con magg
ior tranquillità, la calura estiva si fa rovente soprattutto sul fronte normativo, con la Commissione Europea, il CESR e l’Efama, per citare i principali organismi a livello comunitario, impegnati a ferragosto nel dibattito sugli emendamenti alla Direttiva Ucits (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities), che vanno sotto il nome di Ucits IV.
Un conto alla rovescia sofferto
Ma cos’è, in sintesi, la Ucits IV e quali sono i punti nevralgici che hanno richiesto l’intervento del CESR - la commissione che raccoglie gli organi di vigilanza e controllo dei mercati degli stati europei –la quale ha interpellato sua volta le “Consob” europee chiedendone il parere entro il 22 agosto?
Procediamo con ordine. A differenza dei cambiamenti apportati dalla Ucits III, rivolti principalmente alla gestione degli investimenti e degli strumenti da inserire nei portafogli dei fondi, la Ucits IV si concentra sull’aumento dell’efficienza nel mercato europeo dei prodotti del risparmio gestito.
Dall’avvio delle consultazioni, con la presentazione del White paper nel 2006, finalmente lo scorso 16 luglio la Commissione europea ha presentato un articolato pacchetto di misure in cui è contenuta, tra le altre, la proposta di abbandonare il Prospetto semplificato e di sostituirlo con un documento semplice, di una sola pagina, chiamato Key Investor Information (KII), con i dati più importanti per un investitore che vuole sottoscrivere un fondo comune.
Secondo la Commissione, il prospetto semplificato ha fallito il suo obiettivo di essere uno strumento di informazione utile agli investitori per prendere le loro decisioni di investimento. Nella stessa direzione vanno le altre procedure per snellire il materiale informativo a carico delle società di gestione che desiderano fare attività cross-border.
Il pacchetto è ora al vaglio del Consiglio Europeo e dovrà essere approvato anche dal Parlamento. La sua entrata in vigore non è attesa prima del 2011 e la possibilità che nel frattempo sopraggiungano nuovi aggiustamenti è tutt’altro che remota.
Il passaporto europeo
Il vero pomo della discordia è il passaporto europeo. La Commissione lo ha escluso dal pacchetto presentato in Consiglio, ma Charlie McCreevy, commissario europeo per i servizi e il mercato interno, ha deciso di chiedere aiuto al CESR, che entro novembre dovrà dare il suo parere sulle condizioni da rispettare per assicurare che la gestione cross-border di un fondo Ucits non indebolisca i poteri degli organismi di vigilanza degli stati ospitanti.
Il CESR, a sua volta, lo scorso 16 luglio, ha girato la richiesta agli organismi di controllo degli Stati membri “affinché esprimano le loro opinioni e aiutino il CESR nel suo compito consultivo della Commissione europea”. Il CESR, che dovrà rispondere alla Commissione entro novembre, raccoglierà i pareri delle istituzioni di vigilanza europei entro il prossimo 22 agosto, rimandando a settembre il dibattito e la formulazione della proposta alla Commissione europea.
Grazie al Passaporto europeo, un fondo comune armonizzato (Ucits) potrà essere gestito da una società sotto la legislazione di uno Stato membro diverso da quello di origine, attraverso una succursale o mediante la libera prestazione di servizi. In teoria, un gestore francese che voglia replicare il successo di un prodotto all’estero non avrebbe più la necessità di creare una sede e registrare un duplicato del fondo, ma potrebbe vendere lo stesso prodotto, domiciliato in Francia, anche in Germania, con l’unico obbligo di avere nel paese ospitante, al quale è comunque affidata l’attività di controllo, la banca depositaria.
Se questa possibilità è stata salutata con favore dalla maggior parte degli Stati coinvolti, ha sollevato le critiche di Lussemburgo e Irlanda, dove è domiciliata la maggior parte dei prodotti europei. I due stati, temendo la perdita della loro supremazia come Paesi di origine, si sono detti poco disposti a mantenere la vigilanza su fondi domiciliati altrove e che non avrebbero di fatto alcuna presenza nel Paese. In particolare, a preoccupare le autorità dei due Stati, è la mancanza di controllo sulla contabilità e il calcolo del prezzo.
L’introduzione del passaporto europeo eviterebbe la creazione dei cloni e aprirebbe la strada alla fusione fra fondi appartenenti a Stati diversi. L’aumento delle masse gestite creerebbe economie di scala e ridurrebbe il peso dei costi organizzativi e di gestione.
Come riporta Ignites, il quotidiano online del Financial Times, in Europa vi sono oltre 36.000 fondi, contro gli 8.000 fondi americani; per entrambi, gli asset in gestione si aggirano attorno ai 5mila miliardi. Per l’industria comunitaria è dunque un’opportunità importante per aumentare l’efficienza organizzativa, snellire le procedure, razionalizzare le risorse.
Sempre secondo le voci raccolte da Ignites, non necessariamente le fusioni oltre confine implicheranno la perdita di supremazia e di vigilanza di Dublino o Lussemburgo. È vero il contrario, perchè se le fusioni permetteranno di raccogliere fondi differenti in un’unica struttura, le società sceglieranno giurisdizioni internazionali e ben funzionanti nelle quali fissare il domicilio dei loro fondi. I due Paesi potrebbero quindi mantenere la loro posizione di capitali della registrazione dei fondi, con il controllo sulla società di gestione. Ma l’industria sarà libera di esportare tutte le altre funzioni nel resto dell’Europa.
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