La crisi è anche questione di prospettive

I maggiori indici mondiali sono crollati se calcolati in dollari, ma in euro hanno contenuto le perdite. E c'è qualche buona notizia.

Marco Caprotti 07/10/2008 | 15:42
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“Crollano le Borse”. “Panico”. “Peggio dell’11 settembre”. “Crisi più grave di quella del ‘29”. In questi giorni i titolisti dei giornali, finanziari e generalisti, non si sono risparmiati per cercare di trovare un’idea efficace che riassumesse quello che succede sui mercati. E in effetti motivi per essere pessimisti ce ne sono anche se, in alcuni casi, è questione di prospettive.

L’indice Msci World nell’ultima settimana ha perso circa l’8%. Un brutto scivolone se si considera che di mezzo ci sono stati il sabato e la domenica. Il dato si ridimensiona un poco se il calcolo viene effettuato in euro: -1,4%. Lo stesso vale per i maggiori panieri geografici. L’Msci North America si è lasciato per strada il 5,7% (+0,82 in euro). L’Msci Europe (non solo Eurolandia) ha perso il 10,1% (

-4% in euro). Quello asiatico (Giappone escluso): - 8,89% in dollari e -2,67 in moneta unica. Quello del Sol levante: -8,31 se calcolato valuta Usa e -1,96 se calcolato in quella di Eurolandia.

Resta il fatto che gli investitori sono spaventati. Le notizie che arrivano dagli Usa continuano ad essere inquietanti nonostante il piano del Tesoro per puntellare le istituzioni finanziarie che sono rimaste in piedi e dare così anche un po’ di ossigeno all’economia. Le stime per la crescita del Pil sono state ribassate dal 3,3% al 2,8% (annualizzato). “Il dato rivisto sul Pil, peraltro, è in linea con la crescita reale avuta dagli Usa a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale”, spiega Bill Bergmann, commentatore di Morningstar e per 13 anni economista ed analista della Federal Reserve of Chicago. “Ma la debolezza che stiamo registrando sul fronte dell’occupazione, delle vendite al dettaglio, dell’immobiliare, della vendita delle auto e della fiducia dei consumatori indicano che siamo di fronte a un significativo rallentamento della congiuntura. E che, nonostante il +2,8% previsto, siamo a un passo dalla recessione”.

Nel frattempo la crisi Usa ha compiuto per intero il passo verso l’Europa. Dopo 48 ore dall’approvazione del piano di salvataggio americano, il Vecchio continente ha dovuto fare i conti con, nell’ordine: la garanzia fornita dal governo tedesco ai depositi bancari privati (una mossa seguita da Irlanda e Grecia prima e Danimarca e Slovenia poi); il collasso del sistema bancario islandese; la proposta del cancelliere inglese Nice di ricapitalizzare (con fondi pubblici, quindi a spese dei contribuenti) il sistema bancario del Regno Unito; la possibilità di un taglio dei tassi da parte di Bank of England e Bce.

In mezzo a tutto questo ci sono le previsioni sulla possibilità che alcune catene di grande distribuzione possano andare in bancarotta dopo Natale, sul calo del prezzo del petrolio e sui problemi nell’immobiliare. “Tutti questi indicatori confermano che il problema non è tanto l’entrata in recessione di alcuni Paesi, ma quanto profonda sarà la frenata”, spiega una nota di Tom Stevenson di Fidelity Investment Management. “La buona notizia è che i governi sono passati da sporadici interventi ad azioni di aiuto collettive”.

Tempi duri anche per l’Asia, visto che la locomotiva cinese arranca. Nel 2007 la crescita del Pil del Paese del drago era rimasta al di sopra del 10%, mentre i dati parziali del 2008 indicano un incremento del 7-8%. “Il quadro macroeconomico dell’intera regione asiatica appare ancora intatto anche se pure in questa area è molto probabile che le previsioni di crescita vengano riviste al ribasso”, dice una nota di Union Investment. “Nel complesso gli investitori si troveranno ad affrontare momenti dove la crescita dei corsi sarà più difficile. Un’aumentata avversione al rischio potrebbe danneggiare ulteriormente questi mercati”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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