Cotechino e lenticchie per dimenticare il 2008

Mercati in rosso; industria colpita da riscatti e tagli. Incognite e sfide nel 2009.

Sara Silano 30/12/2008 | 15:14
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Cotechino e lenticchie sono simboli di ricchezza e denaro. Si dice che chi le mangia a Capodanno avrà fortuna e soldi a palate. C’è da scommettere che saranno in molti a farlo dopo il disastroso 2008 vissuto dai mercati finanziari, che si è ripercosso sul settore degli investimenti senza risparmiare alcuno.

Nel 2008 i mercati mondiali hanno perso circa il 40%, l’industria dei fondi ha accusato pesanti riscatti a livello globale, nelle case di investimento è scoccata l’ora dei tagli di personale, gli hedge fund sono inciampati nel caso Madoff (il finanziere americano che ha orchestrato una truffa da 50 miliardi di dollari), molti investitori sono rimasti scottati dalle polizze index linked e dalle obbligazioni strutturate. Chi aveva investito sui Paesi emergenti l’anno scorso, nel

momento di picco, si trova oggi con perdite a due cifre e chi aveva pensato che il rally del petrolio potesse durare a lungo deve fare i conti con il crollo delle quotazioni.

Taglia small per l’industria italiana
In Italia, l’industria dei fondi ha registrato deflussi per oltre 130 miliardi di euro (secondo le statistiche mensili di Assogestioni a fine novembre). Il patrimonio è sceso da 570,1 miliardi a 421,8, a causa, oltre che dei riscatti, del calo dei mercati finanziari. I fondi italiani sono stati i più penalizzati, proseguendo il trend negativo che dura dal 2006 e li ha condotti a una crisi strutturale che si è aggravata per via dell’andamento congiunturale. Il loro numero è sceso a poco più di 900, perché molti sono stati fusi o chiusi. Secondo le statistiche Morningstar, nel 2008 sono scomparsi circa 200 fondi, valore che raddoppia se si considerano gli ultimi tre anni. La ragione principale è l’incorporazione in altri comparti per effetto delle fusioni tra i grandi gruppi bancari.

I riscatti hanno colpito i fondi esteri, che l’anno scorso avevano, invece, chiuso in terreno positivo. D’altra parte, anche nel resto d’Europa si sono registrati pesanti deflussi. Secondo le statistiche dell’Efama, l’associazione che riunisce le società di gestione del Vecchio continente, nei primi nove mesi sono usciti dal sistema 193 miliardi di euro e il patrimonio è sceso del 13,5%, per effetto, oltre che dei riscatti, del calo delle Borse e del terremoto nel mercato creditizio dopo il fallimento di Lehman Brothers. Insieme all’Italia, il Paese più colpito dalle fuoriuscite è stata la Spagna, mentre il calo è stato contenuto nel Regno Unito e in Lussemburgo.

Madoff, la ciliegina sulla torta
Per gli hedge fund, lo scandalo Madoff è arrivato a coronare un anno da dimenticare. In ottobre, l’indice Morningstar 1000 HF ha registrato la peggior perdita della sua storia (-9,4%), portando il ribasso dall’inizio dell’anno oltre il 20%. L’aumento delle correlazioni tra azioni, obbligazioni, valute e materie prime, accentuato dalla crisi, ha reso più difficile attuare strategie diversificate e svincolate dai mercati, con il risultato di far capitolare anche molti alternativi. In Italia, secondo le statistiche di MondoHedge, la forte presenza di fondi di fondi, anziché hedge puri, e il rigoroso impianto normativo hanno permesso all’industria di uscire relativamente indenne dagli eventi negativi, tuttavia, i riscatti hanno superato i 6 miliardi (dati Assogestioni).

I replicanti non si fanno intimorire
Gli Exchange traded fund hanno continuato ad attrarre gli investitori. In Europa, la raccolta è stata di circa 62 miliardi di dollari nei primi dieci mesi, mentre negli Stati Uniti, le emissioni nette hanno superato i 130 miliardi. A livello globale, il numero di Etf è cresciuto di oltre il 30% e, secondo un rapporto di Barclays Global Investors nuovi debutti sono previsti nel 2009. Negli ultimi mesi dell’anno, però, sono aumentate anche le chiusure da parte di alcuni operatori che non sono riusciti a far decollare il business dei replicanti, perché colpiti dalla crisi e dalla migrazione verso la liquidità di molti investitori preoccupati per il calo dei corsi azionari. In ogni caso, la semplicità e trasparenza che caratterizza questi strumenti è stata rivalutata, dopo che i crack finanziari hanno messo a nudo i limiti dei prodotti strutturati, in particolare delle obbligazioni bancarie e delle polizze index linked, che sono stati venduti in grandi quantità agli investitori come “sicuri” o poco rischiosi e poi sono rimasti impigliati nelle maglie del default di Lehman e del crollo di altre banche d’investimento.

Attenzione, pericolo
Il 2008 ha frantumato l’illusione di poter guadagnare sempre e senza correre pericoli, generando più sfiducia e la ricerca di porti sicuri che sono diventati più rari dopo che il sistema bancario internazionale si è incrinato e i governi e le banche centrali sono dovuti correre in soccorso degli istituti di credito. Il forte shock del sistema finanziario ha spinto la volatilità a livelli record, facendo toccare a tutti con mano il “rischio”, che è l’altra faccia del rendimento di qualsiasi strumento finanziario. Le tradizionali misure di questo fattore sono entrate in crisi, a partire dal VaR (Value at risk, misura della massima perdita attesa in un determinato orizzonte temporale), che è stato utilizzato negli ultimi anni come indicatore di rischio per i prodotti a ritorno assoluto e troppe volte “venduto” come garanzia della sicurezza di un investimento.

Rivoluzione (?) Mifid
La Mifid non poteva arrivare in Italia in un momento più difficile. La direttiva comunitaria, che ha imposto alle banche e ai promotori di vendere ai clienti solo i prodotti coerenti con il loro profilo di rischio, non è stata del tutto all’altezza della situazione, in quanto non è riuscita ad evitare che prodotti opachi e rischiosi (come le obbligazioni strutturate) finissero nei portafogli dei risparmiatori, anche i più prudenti. Come spiegano gli esperti, l’obbligo di rispettare il profilo del cliente è limitato alla fase di vendita a meno che il cliente abbia sottoscritto un contratto di consulenza, caso piuttosto raro dal momento che questa tipologia di servizio non è ancora decollata nel nostro Paese. La direttiva ha anche inflitto un duro colpo alle gestioni patrimoniali in fondi, tanto da farne temere l’estinzione. In base alle statistiche di Assogestioni, i deflussi nel corso del 2008 hanno superato i 30 miliardi e in un anno (da settembre 2007 a settembre 2008) il patrimonio si è dimezzato.

L’anno che verrà
Nel 2008, il patrimonio dell’industria degli investimenti si è ridotto, costringendo molte società a tagliare i costi, e di conseguenza i dipendenti, e a rivedere i piani di sviluppo. La situazione delle società italiane appare differente, nonostante i forti riscatti che hanno colpito il settore negli ultimi anni. La struttura del mercato del lavoro, più tutelante, e l’appartenenza a grandi gruppi hanno rappresentato un ammortizzatore della crisi. Però, sono in molti ad attendersi dei cambiamenti dal momento che il modello (società di gestione “generaliste”, che fanno parte di gruppi bancari o assicurativi) non funziona più. Nel 2008 la Banca d’Italia ha promosso un Tavolo di lavoro, cui hanno partecipato i principali rappresentanti del settore, per elaborare possibili linee di intervento volte a rafforzare l’autonomia delle società di gestione, migliorare la trasparenza e rendere confrontabili i diversi prodotti, permettere lo sviluppo di canali distributivi diversificati, armonizzare il regime fiscale e favorire la crescita dei fondi comuni italiani in Europa, anche attraverso un regime di incentivo per gli investimenti in fondi. Per realizzare questi interventi i tempi stringono, perché il passaporto europeo bussa alle porte ed è destinato a cambiare il quadro competitivo.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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