Markowitz parla con l’autorevolezza del padre della Moderna teoria di portafoglio (non è possibile ottenere un rendimento maggiore senza assumere un rischio più elevato) e l’ironia di un ottantaduenne che ha vissuto il Lunedì nero nel 1987 (il 19 ottobre di quell’anno Wall Street scese del 22%, il maggior ribasso della storia in una sola seduta), il crack dell’hedge fund Ltcm (Long term capital management) nel 1998, causato dal default della R
ussia, e la crisi attuale, scatenata dall’elevata leva nel sistema finanziario, frutto della cartoralizzazione dei mutui e del successivo impacchettamento in altri strumenti complessi.
La seconda raccomandazione del Premio Nobel è una conseguenza della prima. Markowitz ricorda che il panico e i Cigni neri (espressione che indica gli eventi improvvisi e imprevisti che affossano le Borse, ndr) accadono quando ci sono degli eccessi. Se non si è esposti alla leva non si rischia di rimanere travolti. Infine, il suo invito è quello di pensare il proprio portafoglio nella sua interezza.
Ma cosa rimane oggi della sua teoria, dopo che la crisi ha fatto aumentare le correlazioni tra i mercati? Ragionare in termini di portafoglio anziché di singoli strumenti di investimento è l’indicazione più forte che è venuta dalla conferenza di Zurigo, insieme all’esortazione ad accrescere l’educazione finanziaria. Infatti, nonostante durante la crisi sia sceso tutto, le diverse asset class hanno accusato perdite in misura differente.
Il principio della diversificazione ha passato in modo relativamente indenne la crisi. Come ha ricordato Peng Chen, presidente di Ibbotson, circa il 25% delle azioni americane ha perso il 75% o più nel 2008, mentre solo quattro degli oltre 6.600 fondi distribuiti negli Stati Uniti hanno registrato un ribasso simile.
E’ vero il 2008 è stato un anno terribile per i mercati e anche gli investitori con i portafogli meglio costruiti hanno sofferto, perché non è stato possibile eliminare il cosiddetto rischio sistemico, ossia quello che dipende dal mercato e non dalla strategia di investimento. Tuttavia, una buona asset allocation ha permesso di contenere i danni. Un’analisi di Ibbotson riferita al 2008 mostra che chi aveva 100 dollari in un portafoglio totalmente azionario alla fine dell’anno se ne è trovati 63, mentre chi aveva il 50% in equity, il 40% in obbligazioni e il 10% in liquidità a dicembre se ne è trovati 84. Insomma, il ribasso delle Borse ha penalizzato molto di più chi aveva investito tutto in Borsa (ossia non aveva diversificato su più classi di investimento) rispetto a coloro che avevano anche titoli del reddito fisso. E’ chiaro che la ripartizione tra le diverse asset class dipende dalla propensione al rischio di ciascun investitore e non esiste una formula magica valida per tutti.
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