È partita la corsa all’oro blu

Il decreto Ronchi ha aperto nuovi scenari nel mercato dell’acqua. Il nodo resta la regolamentazione.

Valerio Baselli 10/12/2009 | 10:04
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Scommettere sull’acqua paga. Sono le cifre a dimostrarlo. I tre fondi interamente dedicati all’acqua (ossia che investono in titoli del settore), disponibili in Italia, hanno registrato nei primi 11 mesi dell’anno performance più che positive: SAM Sustainable Water +23%, CAAM Funds Aqua Global +11,5% e PF (Lux) Water +11%. Stesso discorso per gli Exchange traded fund “idrici”: PowerShares Palisades Global Water +27,4%, iShares S&P Global Water +17,2%, Lyxor Etf World Water +17%, Etfx Janney Global Water Fund +12,5% (in euro).

Il settore idrico è considerato uno dei più attraenti per il futuro. “L’outlook per le società coinvolte nel business dell’acqua è molto positivo, grazie alla crescente domanda globale e agli ingenti investimenti che dovranno essere sostenuti”, commenta Sand

ra Lourenco, co-gestore di CAAM Funds Aqua Global. È quindi la natura stessa dell’attività che richiede ritorni importanti. “Utili elevati sono richiesti proprio per finanziare gli investimenti”, afferma Urs Schön, senior analyst di Sam (Sustainable Asset Management). “Anche i dividendi sono molto importanti, attraggono investitori e portano capitali”.

È comunque importante fare dei distinguo. Secondo Karen Kharmandarian, gestore del fondo PF (Lux) Water, “le dinamiche del settore possono variare sensibilmente da un Paese all’altro e da una legislazione all’altra”. Il gestore di Pictet Funds sottolinea anche come “la regolamentazione e l’ambiente competitivo siano fattori critici”.

“Secondo le nostre stime”, spiega Sandra Luorenco, “si prevede una crescita media degli utili per le società idriche tra il 4 e il 6% nei Paesi sviluppati e tra il 10 e il 15% nei Paesi emergenti”. Questo è uno dei motivi per cui, nonostante le recente liberalizzazione dell’acqua italiana, le società di gestione puntano sugli emergenti anche per questo tipo di servizi.

Ultimamente si è parlato molto del settore idrico. La miccia che ha acceso l’interesse finanziario, e insieme ad esso un vivace dibattito politico, è stata proprio la recente approvazione del decreto Ronchi (soprannominato anche decreto salva-infrazioni), che, tra le altre cose, prevede la liberalizzazione dei servizi idrici.

Ad oggi, la rete idrica nazionale è in mano ai 91 Ato (Ambiti territoriali ottimali) esistenti. Grosso modo ad ogni Ato corrisponde una provincia. Con la nuova normativa gli Ato saranno costretti a riassegnare entro il 2012 il servizio a un nuovo organismo in cui la gestione e almeno il 40% della proprietà sarà privato. Per la fornitura sono poi previste delle gare, a cui potranno partecipare anche imprese pubbliche. Il proveddimento prevede inoltre che entro dicembre 2015 la quota pubblica delle società ex municipalizzate e quotate prima dell’ottobre 2003 (come Acea, Iride, A2A e Hera) scenda ad un massimo del 30%. Invece, per le società municipalizzate e quotate dopo l’ottobre del 2003, come Enia, la riduzione della quota pubblica al 30% deve avvenire entro il 2010, pena la perdita della concessione.

“A questo punto, il fatto che la quota pubblica sia più o meno del 50% conta poco, proprio perchè si parla di società quotate”. A dirlo è il Antonio Massarutto, docente di politca economica ed economia pubblica presso l’Università di Udine e direttore di ricerca presso lo IEFE/Bocconi. “L’eliminazione di questo equivoco è benvenuta”, prosegue il professore, “certamente quello che serve più di ogni altra cosa è una regolamentazione forte”.

Partiamo dal presupposto che in Italia le tariffe dell’acqua per i cittadini sono oggi circa la metà della media europea e che lo spreco di acqua in litri è superiore alla media continenatale. Questo perchè? Per quanto riguarda lo spreco la ragione sta nella rete vecchia di vent’anni. La situazione potrà migliorare solo con adeguati investimenti in ammodernamento e manutenzione. Inoltre, “molte imprese pubbliche sono finanziariamente in difficoltà” commenta Massarutto, “proprio per le tariffe basse”. Con questo decreto “le imprese dovranno essere finanziariamente autosufficienti”. I cittadini, o almeno parte di essi, temono che si possa ricreare la stessa situazione che avvenne nel Comune di Aprilia (Latina) dopo la privatizzazione idrica nel 2005, cioè aumenti delle bollette pari anche al 300%, con conseguente sciopero dei pagamenti. Il professore sembra escludere questa possibilità. Un aumento nelle bollette ci sarà, ma dovrebbe semplicemente portarci in media con gli altri grandi Paesi europei.

Ci si chiede se sarà davvero così, visto che il mercato è per sua natura monopolistico, nonostante il velo di concorrenza introdotto con il sistema delle gare. “Proprio per questo il soggetto regolatore è fondamentale”, prosegue il professor Massarutto, “l’azienda dovrà per forza rispettare le regole stabilite dal Comune nel bando”. Ad oggi è prevista la figura del soggetto regolatore ma non è ancora stato definito niente di concreto. Il problema vero sarà trovare una soluzione univoca a livello nazionale, nonostante si possa lasciare un discreto grado di libertà ai comuni. “L’istituto comunale, infatti, dovrà metterci la faccia. E’ una questione di trasparenza”.

Anche il pericolo legato ad eventuali speculazioni su un bene prezioso come l’acqua gira intorno allo stesso perno, in quanto una regolamentazione opaca e imprevedibile può rendere reale questo pericolo.

Insomma, il match per spartirsi la torta del settore idrico è al via. Siamo quasi al fischio d’inizio. Le squadre, cioè le società che hanno interesse nel business, sono in campo o lo saranno presto. Manca solo lui, l’arbitro.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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