Ventennio emergente, futuro di frontiera

Nell’89 gli emerging market pesavano meno del 2% sull’indice globale, ora sono il 13%.

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L’evoluzione degli investimenti che ha portato alla creazione di una specifica categoria di mercati emergenti è stata lunga e riflette gli interessanti cambiamenti che sono avvenuti nelle strategie di investimento globali.

Il termine “mercati emergenti” è stato coniato dall’International Finance Corporation (IFC) nel 1981, allo scopo di dare a questi mercati un nome più adatto e attraente. Precedentemente, venivano identificati con diverse, e spesso poco lusinghiere, denominazioni come “Paesi poveri”, “Paesi sottosviluppati” o “Paesi meno sviluppati”.

Ricercando rendimenti sopra la media, gli investitori hanno iniziato a puntare su nazioni che erano ai primi stadi dello sviluppo, aspettandosi da essi una crescita economica rapida come risultato dell’adozione di politiche orientate al mercato e alla globalizzazione. Perciò, i primi scommettitori sui mercati emergenti sono stati in grado di investire in società con valutazioni molto attrattive, perché erano poco conosciute dalla comunità finanziaria.

Capire i mercati emergenti
Tipicamente, i mercati emergenti includono Paesi dell’America Latina, dell’Africa, dell’Est Europa (compresa la Russia) e dell’Asia (esclusi Giappone, Austrialia e Nuova Zelanda). Nel corso dell’ultimo ventennio, queste regioni hanno iniziato a registrare tassi di sviluppo maggiori delle nazioni sviluppate, integrandosi con il mercato globale.

Queste aree hanno l’80% circa della popolazione mondiale e hanno registrato una crescita media annua del 4,7% negli ultimi 20 anni (circa il doppio del 2,4% dei Paesi sviluppati, secondo i dati del Fondo monetario internazionale). In particolare, la formazione di un ceto medio, con un reddito maggiore e una domanda di beni di consumo in aumento, ha supportato l’espansione economica, specialmente in Cina e India. Il profilo di rischio-rendimento di questi mercati ha permesso agli investitori di raggiungere performance sopra la media negli ultimi due decenni.

Il maggiore interesse degli operatori per l’investimento nei mercati emergenti ha spinto le Borse di questi Paesi. Inizialmente, gli investitori erano meno propensi a puntare su listini diversi da quelli principali, come Regno Unito, Germania o Giappone, perché presentavano problemi differenti rispetto alle nazioni industrializzate, tra cui la mancanza di una regolamentazione adeguata, di trasparenza e corretta informazione, instabilità politica, sociale ed economica, restrizioni agli investimenti stranieri e svalutazioni monetarie. Alcuni di questi rischi persistono ancora, ma non sono preponderanti come negli anni ‘80 e ‘90. Inoltre, gli investitori hanno imparato che la volatilità può essere gestita e dare come contropartita maggiori rendimenti.

Gli emergenti entrano nei fondi
Nel 1987 Franklin Templeton lanciò il Templeton Emerging Market Fund, che fu il primo fondo chiuso al mondo quotato al New York Stock Exchange, specializzato sugli emergenti. Gli alti rendimenti, assieme al successo di altri comparti, hanno generato un considerevole interesse nel mondo finanziario. I flussi di denaro sono così diventati sempre più consistenti. Nel frattempo, si sono sviluppati circuiti di Borsa ufficiali, strutture societarie migliori e sistemi di trading che hanno favorito lo sviluppo di portafogli azionari internazionali più diversificati, includendo i mercati emergenti.

All’inizio non è stato facile, perchè, nonostante ci fossero molti Paesi emergenti in Asia, Africa, America Latina ed Europa, pochi erano aperti agli investimenti stranieri o avevano una capitalizzazione sufficiente. Inoltre, c’erano controlli molto severi sugli scambi con l’estero e limitazioni agli investimenti, oltre a problemi legati alla sicurezza e alla liquidità del mercato. Da allora, tuttavia, si sono registrati grandi cambiamenti: l’apertura della Turchia verso la fine degli anni ‘80, quella del Brasile, della Korea e di Taiwan negli anni ‘90, la fine dell’apartheid in Sud Africa, la caduta delle barriere nei Paesi dell’Est Europa (compresa la Russia), l’apertura dell’India e poi, naturalmente, della Cina. Tutto ciò ha fornito agli investitori un maggior accesso ai mercati globali. Quando abbiamo lanciato il nostro primo fondo potevamo investire solo in una manciata di Paesi; dopo vent’anni, il nostro universo si è esteso fino a comprendere più di 70 mercati.

La crescita dei mercati emergenti
I mercati emergenti si sono sviluppati negli anni fino a diventare una major asset class, come evidenziano i flussi di capitale in entrata e le attività dei fondi, così come il successo di iniziative tra cui i comparti dedicati ai BRIC (Brasile, Russia, India, Cina). La capitalizzazione di mercato degli emergenti inclusa nel S&P/IFC Emerging Market Index è cresciuta dai 600 miliardi di dollari stimati alla fine del 1989 ai 13,3 mila miliardi alla fine del 2009. Il volume di trading totale, invece, è aumentato da 1.100 miliardi di dollari a 15,7 mila miliardi nello stesso periodo.

I collocamenti e le successive offerte sono state di circa 1,7 mila miliardi di dollari nell’ultimo ventennio, a testimonianza della fiducia degli investitori. Inoltre, i portafogli dei fondi dedicati ai mercati emergenti hanno totalizzato oltre 160 miliardi di flussi in entrata dal 1995 (il primo anno in cui l’istituto di ricerca EPFR Global ha cominciato a monitorarli). Il crescente interesse verso questi mercati nell’ultimo ventennio è anche provato dall’aumento del loro peso nell’indice Msci All Country World, da meno del 2% alla fine del 1989 al 13% alla fine del 2009.

Il nuovo orizzonte per gli investitori internazionali sono i mercati di frontiera, che comprendono alcune regioni dell’Africa (ad eccezione del Sud Africa), il Medio Oriente, l’area balcanica e baltica. E’ un universo tipicamente più piccolo e meno liquido di quello dei mercati emergenti, ma comunque è abbastanza ampio e ha generato un interesse significativo da parte degli investitori.

Uno degli aspetti più interessanti è la creazione di nuovi mercati azionari, in particolare in quei Paesi che sono passati da un’economia socialista e comunista a quella di mercato. In Vietnam, ad esempio, le richieste di privatizzazione delle società statali hanno generato un interesse del governo nella creazione di un mercato dei capitali. Il Vietnam ha lanciato la sua prima Borsa del dopo guerra nel luglio del 2000, con solo due azioni quotate ora ce ne sono circa 500 su due listini (fonte Bloomberg).

Frontiere future
I mercati di frontiera, che potrebbero trasformarsi domani in emergenti, hanno cominciato ad apparire davvero interessanti solo negli ultimi anni. Essi si trovano ora dove la maggior parte dei mercati emergenti erano 15 o 20 anni fa. Tuttavia, essi possono offrire agli investitori opportunità d’investimento molto interessanti a confronto con la situazione degli anni ‘80. L’attenzione verso tali aree ha portato i fornitori di indici Msci e IFC/S&P a lanciare benchmark specializzati, garantendone la copertura. Per i mercati di frontiera la strada è segnata: diventare emergenti. Gli investitori non dovrebbero perdere questa opportunità.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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