I titoli finanziari si preparano a deludere gli investitori. Dopo una corsa che ha permesso all’indice Msci del settore di guadagnare in un mese (fino al 15 marzo e calcolato in euro) l’11,1% e il 29,2% nel 2009, secondo gli investitori il comparto potrebbe iniziare ad avere il fiato un po’ corto. “Gli investitori stanno ruotando i portafogli inserendo azioni di società più difensive come il farmaceutico e le telecomunicazioni e rinunciando ai bancari”, spiega una nota di Oxford Analytica (OA).
Secondo gli operatori il settore sta vivendo una fase simile a quella attraversata all’inizio del secolo dai titoli tecnologici, quando dai massimi del 2000, nel 2002 sono arrivati rasoterra per poi registrare un forte rimbalzo nel 2003. “L’indice S&P Global Financials ha toccato il massimo a maggio del 2007 per poi crollare di oltre l’80% fino al 9 marzo dell’anno scorso (prima che i mercati iniziassero la ripresa, ndr). Da allora ha ripreso a salire, anche se resta lontano dai suoi record”, continua il report.
Gli analisti fanno anche notare che il settore hi-tech a metà degli anni 2000 è rimasto bloccato in una sorta di pantano, da cui ha iniziato a muoversi solo negli ultimi mesi. “Una situazione del genere, per i prossimi due anni potrebbe interessare anche i finanziari” prosegue lo studio. “Lo scenario in cui si trovano ad operare, infatti, è formato dalla volontà da parte dei governi di aumentare il controllo sul comparto per evitare altre crisi unita alla possibilità di un rialzo dei tassi di interesse”.
La situazione è particolarmente complessa negli Stati Uniti, dove, secondo uno studio della società di consulenza Markit i titoli bancari sono anche quelli che al momento pagano il dividendo più basso ai propri azionisti. Un elemento in più che potrebbe tenere lontani gli investitori. “Molte banche hanno tagliato la cedola e alcune l’hanno annullata del tutto per poter ripagare gli aiuti ricevuti dal governo federale”, dice lo studio, ricordando il tonfo di JP Morgan a gennaio, quando la merchant bank ha annunciato che non avrebbe aumentato il dividendo. Le banche americane, inoltre, nei prossimi anni dovranno fare i conti con 1.400 miliardi di dollari di mutui che hanno concesso per l’edilizia commerciale che arriveranno a scadenza, molti dei quali non potranno essere recuperati a causa delle cattive condizioni in cui versa il mattone negli Usa.
Più tranquilla la situazione in Europa, dove gli istituti possono anche permettersi di pensare a qualche acquisizione. Bnp Paribas, ad esempio, secondo alcune voci starebbe pensando di comprare le attività giapponesi del gruppo belga Kbc Groep. Il Sol levante piace anche agli inglesi di Barclays che, per metterci un piede, hanno acquistato le filiali locali di Lehman Brothers.
Dal punto di vista operativo, i gestori di Ignis Asset Management ritengono che il comparto finanziario europeo sia eccessivamente sottovalutato dagli investitori. “Il mercato ha trascurato quello che c’è di buono in questi gruppi”, dice Adrian Darley, responsabile azionario Europa della società scozzese. “E’ vero che ci sono dei problemi, ma non tutte le banche sono cattivi investimenti. Molte di loro hanno prospettive interessanti e la maggior parte di quelle che un anno fa hanno dovuto ricapitalizzarsi, oggi sono orientate alla crescita. I margini sui prestiti sono cresciuti significativamente negli ultimi 12 mesi e questa è una buona notizia per le banche ben patrimonializzate. Sulla scia di risultati consistenti, alcune di esse hanno registrato un forte aumento dei prezzi delle loro azioni. Ma le valutazioni restano comunque interessanti”.
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