Le famiglie americane non vogliono più spendere. Anzi no, hanno ricominciato a mettere mani al portafoglio. Sembra esserci una gran confusione sotto il cielo del settore dei consumi. Soprattutto negli Stati Uniti dove questa voce contribuisce al 70% dell’economia del Paese.
A dar retta ai dati sulla fiducia dei consumatori, sembra che la volontà di spesa sia ancora latitante. L’ultima lettura del mese di febbraio dell’indice segna un livello di 46, in discesa rispetto al 56,5 del mese precedente. Numeri che non fanno il paio con i bilanci comunicati dalle maggiori catene di distribuzione Usa. Secondo l’International Council of Shopping Centers (che ne riunisce la maggior parte), a febbraio le vendite sono cresciute del 3,7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, dopo il +4% fatto segnare a gennaio. Il miglioramento dei conti è visibile anche in Borsa: l’indice Msci del settore consumi, nell’ultimo mese (fino al 16 marzo e calcolato in euro) è salito di quasi l’8%, mentre da inizio anno ha segnato +9,7%. Nel 2009 la performance era stata positiva per il 33%. Segno che i risultati di bilancio della distribuzione piacciono agli investitori.
Ma come si spiega questa differenza nei dati? “Gli indici sulla fiducia sono compilati dagli economisti in base ad alcuni elementi come, ad esempio, il tasso di disoccupazione e la produzione industriale”, spiega uno studio di Robert Johnson, analista di Morningstar. “In una situazione come quella odierna, con il numero dei senza lavoro vicino ai massimi storici, gli operatori traggono la conclusione che gli americani hanno poca voglia di spendere”. L’astrazione delle teorie macroeconomiche, questa volta si è scontrata con la realtà di tutti i giorni e con quella dei dati di bilancio. “Per combattere la crisi le grandi catene di vendita come Wal-Mart e Home Depot, hanno iniziato un’aggressiva politica di sconti che ha richiamato nei loro negozi molte famiglie. Nel frattempo hanno portato avanti una politica di ristrutturazione che ha fatto diminuire i costi”, continua Johnson. “Per avere il polso di quello che può succedere all’economia americana, quindi, è meglio guardare quello che accade sulle strade e nei negozi, non negli uffici studi”.
Un aumento dei consumi fa da volano all’intera economia perché richiede la creazione di nuove merci e, di conseguenza, una crescita dei posti di lavoro. L’indice PMI sulla produzione industriale a febbraio, nonostante un lieve calo, si è comunque assestato sopra il livello di 50 (ogni numero sopra questa quota è segno di espansione). Il tasso di disoccupazione, nel frattempo, dai picchi dell’ottobre 2009 (10,1%) è sceso a 9,7%. A questo va aggiunta una ripresa dei mercati azionari che ha rimesso un po’ di soldi in tasca alle famiglie, spingendole a fare qualche acquisto di lusso. Lo sa bene la catena di gioiellerie Nordstrom che, nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, ha registrato un aumento delle vendite del 10,3% rispetto allo stesso periodo del 2008.
Ancora più ottimista è Robert Niblock, amministratore delegato dei negozi specializzati nel fai-da- te Lowe’s, secondo cui – come dice ad ogni intervista – “il peggio del ciclo economico è ormai alle nostre spalle”. Per il prossimo trimestre il top manager si aspetta un miglioramento delle vendite in almeno 13 delle 24 aree in cui la sua società ha dei punti vendita.
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