I Pigs tornano a far danni in Europa. E rischiano di frenare la corsa dell’indice Msci della regione che, nell’ultimo mese (fino al 23 marzo e calcolato in euro) ha guadagnato poco più del 6%. Dopo la Grecia, finita a un passo dal default e sulle cui modalità di salvataggio i membri del club di Eurolandia stanno ancora discutendo, ora tocca il Portogallo (un altro dei Paesi a rischio secondo l’acronimo Pigs inventato dalle banche d’affari. Gli altri sono Irlanda e Spagna).
L’agenzia di rating sul debito Fitch ha tagliato il giudizio sul Paese lusitano, portandolo da AA ad AA-, ha minacciato ulteriori possibili tagli e ha fatto sapere che l’outlook è negativo. Secondo Fitch, le prospettive di recupero del Portogallo sono deboli rispetto a quelle degli altri Stati dell’Eurozona aggiungendo che saranno necessari “importanti” misure finanziarie per poter contenere il deficit. La notizia non poteva arrivare in un momento peggiore. L’area, infatti, è ancora alle prese con il tentativo di salvataggio della Grecia su cui, nonostante il peggio sia passato grazie anche a un’emissione obbligazionaria da 5 miliardi di euro andata a ruba, non è ancora stato trovato un accordo a causa soprattutto dell’opposizione della Germania.
Atene, nel frattempo, ha minacciato di rivolgersi al Fondo monetario internazionale per ottenere un prestito a basso costo. Una soluzione che non piace all’Unione europea, perché ne metterebbe in risalto l’incapacità di far fronte alle crisi. “Alla fine si arriverà a una soluzione del problema”, spiega Raphael Kassin, responsabile dell’obbligazionario mercati emergenti di Reyl Asset Management. “L’Europa non avrebbe dovuto permettere l’ingresso della Grecia fra i Paesi della moneta unica. Ma ora non può permettersi di lasciarla da sola. La posizione tedesca sembra più una scusa per mettere i bastoni fra le ruote all’entrata nel club della Turchia che in futuro potrebbe presentare gli stessi problemi”.
Nel frattempo si osserva quello che succede in Irlanda. Il Paese ha lanciato la prima di una serie di emissioni obbligazionarie per raccogliere 20 miliardi di euro entro la fine di quest’anno. Il governo, intanto, si è impegnato a riportare il deficit al di sotto del 3% del Pil, attraverso un piano che prevede il taglio delle pensioni, l’aumento delle tasse e una sfoltita al personale dell’amministrazione pubblica.
Le riunioni sulle crisi degli Stati si sono trasformate anche nell’occasione per rimettere mano ai piani di salvataggio dalla tempesta scoppiata nel 2007. Alla Banca centrale europea, fra le altre cose, si è discusso anche dell’eliminazione delle misure monetarie straordinarie. Il presidente dell’istituto centrale, Jean-Claude Trichet, ha detto che le aste di rifinanziamento a tre mesi passeranno dal tasso fisso a quello variabile. Una mossa necessaria per drenare liquidità dal mercato. Imponendo un tasso variabile all’asta, sarà più oneroso per gli istituti primari farsi prestare soldi dall’Eurotower. Per quanto riguarda i tassi di interesse, non c’è stata nessuna mossa né da parte della Bce (il saggio di riferimento rimane all’1%), né della Bank of England (0,5%).
Il quadro macroeconomico uscito nelle scorse settimane, in ogni caso, non è rassicurante. Per quanto riguarda il lavoro, ad esempio, nel quarto trimestre del 2009, secondo i dati Eurostat, nei Paesi dell’area Euro gli occupati sono scesi dello 0,2% sul trimestre precedente e del 2% rispetto all'ultimo trimestre del 2008.
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