“Apocalisse”, “disastro”, “valanga”. Non lesinano sui vocaboli catastrofisti le società di rating sul debito quando danno il quadro del mercato obbligazionario corporate degli Stati Uniti. A preoccupare gli analisti dei bond è l’ammontare della carta che nei prossimi cinque anni arriverà a scadenza e che quelli di Moody’s hanno quantificato in 1.400 miliardi di dollari. Nello scenario peggiore dipinto dall’agenzia americana di merito del credito, la maggior parte delle aziende emittenti non sarà in grado di restituire il dovuto agli obbligazionisti, imboccando in questo modo la strada della bancarotta.
Concordano sulla somma, ma sono meno pessimisti, i loro colleghi di Fitch secondo cui gli emittenti più vulnerabili potranno contare sull’aiuto delle banche (che preferiscono allungare i termini di scadenza piuttosto che affrontare un default del debitore) e su un risveglio degli investitori in obbligazioni. Spulciando i report delle due agenzie, si nota che circa 600 miliardi di dollari corrispondono all’ammontare di emissioni da parte di grandi società senza particolari problemi di bilancio e che, quindi, non dovrebbero avere difficoltà a rifinanziare il debito o a ripagare i propri bondholder.
Il ritorno dei CLO
Il problema vero, quindi, è per i circa 800 miliardi di dollari che mancano. Una parte di questi, (circa 425 miliardi) potrebbero essere rifinanziati attraverso uno strumento chiamato Collateralized Loan Obligation (CLO): in pratica si tratta di chiudere all’interno di diversi “pacchetti” una serie di debiti di piccole e grandi società per poi rivenderli ad investitori interessati. Si tratta comunque di strumenti decisamente speculativi, destinati a istituzioni finanziarie e che, per inciso, hanno contribuito non poco a gonfiare la bolla che ha portato alla crisi degli ultimi tre anni. “Ma siccome i prestiti fanno guadagnare o perdere i creditori in base alle fluttuazioni dei tassi di interesse, un aumento del costo del denaro darebbe nuova linfa ai CLO. “Quando la Federal Reserve ricomincerà ad alzare i tassi dai minimi storici, le banche potrebbero essere spinte a utilizzare sempre più spesso questo strumento”, spiega lo studio di Fitch. “Al di là delle considerazioni morali sull’uso di questi asset di investimento dopo quello che è successo dal 2007, bisogna comunque riconoscere che potrebbero essere l’unica strada per salvare molte società e i loro investitori dal disastro”.
Un accordo fra le parti
Un’altra via, secondo l’agenzia di analisi di Thomson Reuters (TR), potrebbe essere un accordo fra creditore ed emittente. In questo modo si potrebbero salvare bond per circa 135 miliardi di dollari. Con questo sistema, conosciuto come amend and extend (modifica ed estendi), nel 2009 in base ai calcoli di TR sono state salvate emissioni corporate per 60,6 miliardi. Resterebbero in pericolo circa 240 miliardi di dollari di bond. Una cifra decisamente ridimensionata rispetto ai 1.400 miliardi iniziali, considerando anche che non tutte le società che li hanno emessi andranno necessariamente in default.
La questione, in ogni caso, è destinata a ripresentarsi a intervalli regolari. La Corporate America, infatti, sta facendo ancora un massiccio uso delle obbligazioni per finanziarsi e rifinanziare il debito. Secondo i dati di TR, in meno di tre mesi dall’inizio dell’anno, negli Stati Uniti si sono registrate emissioni corporate per quasi 40 miliardi di dollari.
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