Bund, BTp e Treasury sono solo uno dei pianeti del vasto universo obbligazionario, che è popolato da titoli dei mercati emergenti, corporate bond e high yield (emissioni ad alto rendimento e di minor qualità). Questi ultimi hanno assunto un ruolo da protagonisti negli ultimi anni, sia perché il prolungato periodo di bassi tassi di interesse nei Paesi occidentali ha indotto gli investitori a ricercare opportunità altrove, sia perché l’alto debito pubblico e la crisi economica hanno reso l’Europa e gli Stati Uniti un porto un po’ meno sicuro.
Una montagna di debiti
“Ci troviamo di fronte a una montagna di debiti che sono serviti a non dichiarare un default sistemico”, dice Filippo Biagini, responsabile delle Gestioni patrimoniali di Abbacus sim. Ma per Luca Simoncelli, membro del team BlackRock Multi-asset client solutions, nel breve, le probabilità di fallimento o di una crisi di liquidità sono minime. Un caso a parte è rappresentato dalla Grecia, per la quale il rischio rimane nel medio termine, anche a causa della diminuzione della competitività del Paese, conseguente alla necessità di implementare misure fiscali drastiche. “Prevediamo che i premi per il rischio sui titoli greci continueranno ad essere alti”, dice, “generando un aumento della volatilità sul mercato obbligazionario europeo”.
Nonostante le probabilità di fallimento per i Paesi di Eurolandia e per gli Stati Uniti siano basse, è chiaro che per uscire dalla situazione attuale, senza incorrere in un’inflazione galoppante, l’unica via è l’attuazione di una rigida politica fiscale abbinata a tagli alla spesa pubblica. Gli Stati Uniti avrebbero un’arma ulteriore, ossia l’indebolimento del dollaro, ma questa opzione appare ancora piuttosto remota.
La riuscita di questa strategia, però, non è scontata. Come osserva Nicolò Piotti, executive director di Morgan Stanley investment management, gli investitori potrebbero decidere di non sottoscrivere i titoli emessi dagli Stati più a rischio, impedendogli di rifinanziare il debito. Inoltre, non è del tutto fugato il rischio di un ritorno della recessione, se non ci sarà una ripresa dei consumi privati e la disoccupazione continuerà a crescere.
Fuori dalla crisi con gli emergenti
Le previsioni di crescita dei Paesi sviluppati per il 2010 sono contenute, per cui le Banche centrali dovrebbero lasciare i tassi bassi ancora per un po’. In questo contesto, gli investitori si sono riversati sulle obbligazioni emergenti e societarie, che, secondo i gestori, offrono ancora buone opportunità nonostante il rally del 2009.
“Le economie emergenti porteranno il mondo fuori dalla crisi”, dice Mark Pearce, investment specialist di Threadneedle. “Si stima una crescita media del 6% per questi Paesi nel 2010, mentre quelli sviluppati dovrebbero assestarsi intorno a un anemico 2%”. I flussi di investimento verso i titoli obbligazionari emergenti dovrebbero, dunque, continuare e in particolare dirigersi verso le emissioni in valuta locale. “Quelle in dollari potrebbero generare rendimenti tra il 5 e il 10%”, dice Piotti, “mentre quelle in local currency tra il 10 e il 15%. Metà della performance ipotizzabile deriverebbe comunque dalle cedole”. Attenzione, però, che l’espansione determinerà un aumento dei tassi che potrebbe penalizzare i titoli già in circolazione, ma nello stesso tempo rafforzerà le divise locali e determinerà un miglioramento della bilancia commerciale.
Corporate, rischio default sopravvalutato
Per quanto riguarda i corporate bond, non sono da escludere default nei prossimi anni, tuttavia per Diego Cereda, gestore del fondo UBI Pramerica Euro corporate, “i timori di un’implosione del sistema non sono giustificati se si guarda al mercato investment grade”. Il suo suggerimento è quello di adottare un’adeguata diversificazione a livello di settori, emissioni e tratti della curva. Per Pearce, il mercato sconta tassi di default maggiori di quelli che realmente ci saranno, per cui i differenziali (spread) rispetto ai titoli di Stato potrebbero restringersi. Inoltre, la domanda di corporate bond è cresciuta notevolmente, per cui gli investitori che hanno bond in scadenza dovranno reinvestire la liquidità, alimentando la domanda.
Portafogli obbligazionari
Cosa suggeriscono i gestori agli investitori che vogliono costruire un portafoglio obbligazionario diversificato (fatto 100 il totale)? Per Biagini, se ipotizziamo uno stile totalmente flessibile, il 30% dovrebbe andare in titoli governativi, il 40% in coporate bond con elevato merito creditizio e duration alta, il 15% in high yield e il rimanente 15% in titoli dei mercati emergenti. Simoncelli, invece, destina il 35% alle emissioni governative, il 45% a quelle societarie investment grade, il 5% agli high yield (statunitensi) e il 15% ai bond emergenti in valuta locale. Cereda, infine, ragiona in termini di sovra/sottopeso rispetto al benchmark. “Sui portafogli investiti in emissioni statali, abbiamo un sovrappeso sull’Eurozona core (Germania) e sull’Italia (unico periferico in nostro possesso)”, dice, “Risultano in marcato sottopeso Grecia e Spagna. Abbiamo una view neutrale sui titoli corporate, con preferenza sull’area breve della curva e focus su quelli con alto rating”.
“2010, ancora anno del credito? Un’analisi delle strategie e delle principali asset class: governativi vs corporate, high yield ed emergenti” è il tema di un convegno che si terrà all’ITForum di Rimini il prossimo 13 maggio, nell’ambito del quale interverranno i gestori intervistati in questo articolo. Per leggere il programma completo, clicca qui
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