Un anno fa, per comprare un euro servivano 1,29 dollari. A dicembre 2009 ne occorrevano 1,50 e oggi siamo intorno a 1,34. Si prevede un ulteriore ribasso verso quota 1,30 e nessuno più avanza ipotesi sulla moneta unica come nuova divisa internazionale sostitutiva del dollaro. Al contrario, da inizio anno è la peggiore tra le 35 valute più scambiate al mondo. Qualche settimana fa, il Wall Street Journal ha parlato di un attacco all’euro da parte di hedge fund e grandi banche americane, fatto su cui sta indagando la Sec (l’autorità di vigilanza sui mercati).
Sul mercato dei cambi, i colpi di scena non fanno notizia, data la volatilità che lo caratterizza, ma in questo caso la situazione è più complessa, perché l’euro ha perso un’opportunità di affermazione come divisa internazionale e allo stesso tempo il dollaro conserva questo status senza però avere la solidità di una volta e perdendo comunque terreno nei confronti delle valute emergenti.
Fardello greco
Ad interrompere la corsa della moneta unica e scatenare la speculazione è stata la Grecia, in bilico tra il default e un salvataggio in extremis. I rendimenti dei titoli di Stato decennali ellenici hanno toccato il livello record dell’8,29%, ossia 5,21 punti percentuali in più rispetto ai Bund tedeschi, presi come riferimento dal mercato del reddito fisso europeo. Il percorso per soccorrere Atene è più tortuoso del previsto e gli investitori, da sempre avversi all’incertezza, si domandano quante probabilità ci siano per la Grecia di mantenere i propri impegni finanziari e quali saranno i tempi per l’erogazione degli aiuti. Intanto, anche il Portogallo vacilla.
“L’operatività che va per la maggiore sul mercato è proprio quella di vendere sui rimbalzi”, dice Ashraf Laidi, capo strategist di CMC Markets, per il quale il trend ribassista proseguirà. “Lo scenario di quota 1,30 dollari rimane molto realista e a seguire quello di 1,27”. Sulla stessa linea JC Investimenti, che in un report dal titolo “Nubi oscure”, indica come soglia critica 1,34. Al di sopra di questo livello, gli analisti suggeriscono appunto di assumere una posizione di “sell on rally”. “Il livello che costringerebbe a rinunciare a questa strategia”, dicono, “rimane l’importante 1,3850 che da quasi tre mesi risulta inattaccabile”.
Per la moneta comunitaria sono tempi duri, ma non è la prima volta nella sua relativamente recente storia. In particolare, tra il 1999 (anno di introduzione) e il 2002 ha perso circa il 31% (toccando un minimo ben più basso di quello odierno a ridosso di 0,82 dollari), principalmente a causa della quotazione per eccesso e della situazione economica di Eurolandia assai meno rosea di quella americana. Nel 2005, il calo è stato del 14%, dovuto all’incertezza sull’Unione, dopo l’esito negativo dei referendum sulla Costituzione in Francia e Olanda e alla differente politica monetaria della Bce e della Federal Reserve.”L’attuale discesa è simile a quella del 1999-2000”, dice Laidi, “Per la prima volta, però, la moneta unica affronta seri dubbi su un possibile default di un suo membro e sul quadro regolamentare dei salvataggi”. La differenza rispetto a dieci anni fa è che la necessità di politiche più restrittive nei Paesi del Mediterraneo potrebbe non essere controbilanciata da un aumento della domanda in Francia e Germania.
Senza alternative
Il rovescio della medaglia della discesa dell’euro è la salita del dollaro, che però non poggia su solidi fondamentali. Gli Stati Uniti non si sono ancora risollevati dalla crisi finanziaria, di cui sono stati l’epicentro e non sono più la locomotiva economica del mondo. Inoltre, sono la nazione più indebitata a livello globale. Tuttavia, il biglietto verde mantiene il suo status, come è emerso da uno studio della Federal Reserve di New York, in base al quale è ancora la banconota più usata all’estero, quella di paragone per molte altre divise e più impiegata come riserva valutaria. Come dire, la sua posizione dominante è dovuta alla mancanza di una reale alternativa.
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