L’euro è malato e la speculazione si è accanita per aggravare la malattia. Ma il suo agire è schizofrenico e potrebbe abbandonare la moneta unica, magari anche solo temporaneamente, per prendere di mira altre divise. Prevedere quali è difficile, ma qualcuno avanza già delle ipotesi. A rischiare di più sarebbe la sterlina inglese.
“Se le azioni di difesa messe a punto dall’Unione europea e dalla Bce dovessero funzionare”, dice Maurizio Novelli, global strategist di Zest asset management, “si potrebbe aprire la caccia a nuove prede che risultano certamente più indifese”. E la Gran Bretagna è una di queste. Il deficit annuo è stimato in 156,1 miliardi di sterline (186,5 miliardi di euro) nel 2009-10, pari all’11% del Prodotto interno lordo. L’inflazione (3,7% ad aprile) è superiore al tasso ufficiale del 2% e la disoccupazione è all’8%, che in termini assoluti significa 2,5 milioni di persone, non troppo lontano dai 3 milioni delle crisi degli anni Ottanta e Novanta.
Per il momento, le agenzie di rating non hanno abbassato il giudizio, ma il Paese è sotto osservazione. La sterlina non sembra annusare alcun pericolo e si trova oggi ai massimi da gennaio nei confronti di un paniere composto dalle principali valute. In particolare, ha toccato il livello più alto da diciotto mesi nei confronti dell’euro e si è rafforzata anche rispetto al dollaro.
Oggi, l’attenzione è concentrata sui problemi dell’Europa continentale e l’Inghilterra appare avvantaggiata perché non è nell’euro, per cui non subisce il rischio di contagio. Inoltre, può ricorrere alla svalutazione della sua divisa per diventare più competitiva e sostenere l’economia. Infine, può manovrare i tassi in modo autonomo. Tuttavia, il Regno Unito non può ignorare quello che accade oltre la Manica, perché l’area è uno dei suoi principali mercati di sbocco.
La divisa comunitaria ha avuto un rapido calo, ma rispetto al dollaro è intorno al livello medio da quando è nata. Le principali Banche centrali hanno dichiarato di non voler vendere le loro riserve in euro, ma bisogna capire se il caso dell’Iran, che ha annunciato un piano per liberarsi di 45 miliardi di euro in favore del dollaro e dell’oro, rimarrà isolato. Soprattutto, fa notare Ashraf Laidi, capo strategist di CMC Markets, è da vedere se il supporto alla moneta unica continuerà anche se questa scenderà sotto 1,2100 contro il biglietto verde. Nonostante le rassicurazioni, gli occhi rimangono puntati sulla Cina, che ha circa 600 miliardi di dollari in titoli denominati in euro.
Più in generale, quello che sta accadendo sui mercati valutari può essere un segnale del riposizionamento della ricchezza a livello internazionale. Come fa notare Novelli, i tassi nelle principali economie (Stati Uniti, Europa e Giappone) sono troppo bassi per remunerare gli investimenti. E’ possibile quindi che, come è accaduto negli anni passati per lo yen, l’euro e il dollaro vengano usati per finanziarsi a basso costo e acquistare titoli che offrono un rendimento maggiore e sono denominati in altre valute, ad esempio il dollaro canadese o australiano (questa strategia è nota come carry trade). Per concludere con le parole di Novelli, “E’ evidente che tale situazione crea le premesse per comprendere dove si formerà la prossima bolla speculativa, ma forse parlare oggi di questo potrebbe essere prematuro”.
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