L'Europa a sconto sembra il Giappone

La frenata del Vecchio continente ha fatto tornare interessanti alcune valutazioni. Ma il calo demografico rischia di portare alla deflazione.

Marco Caprotti 08/06/2010 | 16:04
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Lo scossone causato dai Pigs a qualcosa è servito: ha riportato i titoli delle azioni europee a livelli interessanti per l’acquisto. Dopo aver guadagnato più del 27% nel 2009, l’indice Msci Europa da inizio anno ha perso più del 4,5% mentre solo nell’ultima settimana (fino al 7 giugno) si è lasciato per strada quasi l’1%. Non è andata meglio all’euro che, in questi giorni ha toccato 1,19 contro dollaro per poi cercare di tenere con i denti quota 1,2. Negli ultimi 12 mesi la divisa di Eurolandia ha perso più del 16%, mentre da gennaio si è lasciata per strada oltre il 12%. Il risultato è che gli analisti stanno abbassando le loro previsioni sulla moneta unica, ma intravedono interessanti buy opportunity in tutto il continente. Resta da vedere se il buon affare di oggi in termini di prezzo riuscirà a riempire le tasche degli investitori domani.

La carica degli asiatici
I primi ad accorgersi che l’Europa è in saldo sono stati gli asiatici. Fra le operazioni più interessanti c’è stata l’acquisizione della Volvo da parte della holding cinese Zhejiang Geely per 1,8 miliardi di dollari (il venditore era Ford). Il gigante indiano della tecnologia Infosys, intanto, ha già annunciato di aver iniziato a cercare buone occasioni in Europa. Secondo uno studio della società Dealogic, che segue l’attività di fusione e acquisizione a livello internazionale, i compratori dell’Asia-Pacifico quest’anno hanno già speso 12,6 miliardi di dollari per fare shopping nel Vecchio continente contro gli 1,6 miliardi dello stesso periodo del 2009.

Investire su chi ha più dollari
I titoli europei sembrano interessanti anche per gli investitori privati. Al di là delle operazioni di M&A che danno sempre una scossa positiva ai mercati, il rapporto prezzo/utili dei titoli europei è più basso della media storica. Attualmente, secondo uno studio di Credit Suisse, vengono trattati con uno sconto del 30% rispetto a quelli dei concorrenti americani. Continuano intanto a salire i rendimenti: il 47% delle aziende quotate in Europa, paga dividendi superiori allo yield delle obbligazioni governative (e di molte corporate). Senza contare che l’economia globale è in fase di ripresa e i bilanci delle imprese sono solidi.

A chi vuole puntare su questa fase, Credit Suisse consiglia di orientarsi sui titoli poco costosi di società legate all’export in cui il rapporto fra guadagni e costi in dollari sia a favore dei primi. Fra queste segnala Eads (aerospazio, 75%-28%), Lvmh (lusso,50%-33%), Siemens (elettronica, 40%-35%), Ericcson (elettronica, 43%-32%), Bmw (auto,30%-20%), Volkswagen (auto, 20%-12%), Porsche (auto, 35%-10%), Sap (software, 35%-30%) e Rolls-Royce (ingegneria, 48%-26%).

Europa a rischio Giappone?
Puntare sull’Europa, al di là del momento difficile attraversato dal Vecchio continente presenta però un rischio che, peraltro, è già stato affrontato dal Giappone: l’invecchiamento della popolazione che è tra le cause della persistente deflazione del Sol levante. “Una società che invecchia richiede sempre meno case, automobili e prodotti a uso intensivo di mano d’opera e materie prime, che figurano tra i principali motori dell’inflazione, mentre necessita di ingenti investimenti a basso rischio per garantire un reddito costante a tutti i pensionati”, spiega Ad Van Tiggelen, Senior investment specialist di Ing Investment Management. “Per questo motivo i giapponesi continuano tranquillamente a comprare i titoli di Stato locali anche se, difficilmente, rendono più dell’1% in termini nominali. Dopotutto, con la deflazione al 2% il rendimento reale è comunque pari al 3%”.

A Berlino fanno come a Tokyo
Ma cosa c’entra questo con l’Europa? “Si dà il caso che l’attuale scenario demografico dell’area euro assomigli alla situazione giapponese dei primi anni ‘90: l’invecchiamento della società, con le sue tendenze deflazionistiche, sta lentamente diventando realtà anche in Europa” risponde lo specialist di Ing. “Inoltre, i modelli di comportamento per quanto riguarda la spesa degli importantissimi consumatori tedeschi ricordano l’esperienza del Giappone. In Germania la crescita reale dei consumi ristagna già da dieci anni e i tedeschi condividono alcune abitudini con i giapponesi: in entrambi i casi si tratta di persone che, più delle altre, vogliono avere il pieno controllo della propria vita e del proprio futuro (anche in senso finanziario) e per le quali oggi potrebbe essere più naturale risparmiare che spendere. Una simile prudenza finanziaria non ha certo nulla di sbagliato. Ma, come hanno dimostrato i giapponesi, può essere una buona ricetta per la deflazione”.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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