Il virus greco non ha stroncato il comparto farmaceutico del Vecchio continente. E il massimo che può fare, spiegano gli analisti, è indebolirlo un po’, trasformandolo però in una buona opportunità di acquisto. L’indice di Msci europeo del settore nell’ultimo mese (fino all’8 giugno e calcolato in euro), ha guadagnato il 2,7% mentre, da inizio anno, ha avuto una discesa dell’1,7%. “Sono performance che non hanno attinenza con i valori reali delle aziende farmaceutiche europee”, spiega una ricerca di Damien Conover, analista di Morningstar. “I titoli di questo segmento stanno pagando un po’ della volatilità che interessa i mercati di Eurolandia. Ma, fondamentalmente, sono abbastanza sani per reggere il colpo anche se le cose dovessero peggiorare”.
La diversificazione batte il virus
Il vaccino che li tiene in salute è la diversificazione geografica. “Se prendiamo, per esempio, il mercato greco delle aziende farmaceutiche, vediamo che contribuisce solo per l’1% al fatturato della maggior parte dei gruppi europei”, continua l’analista. “Più in generale, il Vecchio continente rappresenta il 30% del loro giro d’affari. Tutto il resto arriva dai mercati internazionali”. Una scelta di globalizzazione inevitabile, visto che in Europa, dove i prezzi dei medicinali in molti Paesi sono controllati dallo Stato, è molto più difficile essere competitivi. “Un problema questo che, per esempio, non esiste negli Stati Uniti”, dice lo studio. Dal punto dei vista dei bilanci, in ogni caso, qualcosa le aziende pharma del Vecchio continente dovranno pagare a causa dei tagli di bilancio, anche in campo sanitario, messi in pista dai diversi Paesi di Eurolandia per far fronte alla crisi del debito.
Un doppio sconto
Questo avrà inevitabilmente un impatto sulla contabilità e, a ruota, sul valore dei titoli. “Ma si tratta di un falso problema”, dice Conover. “Da sempre le azioni del pharma europeo vengono trattate con uno sconto di circa il 10-15% rispetto a quelle dei concorrenti americani”. Tutto questo si trasforma in un vantaggio per i potenziali investitori. “Visto che da punto di vista dei fondamentali i gruppi europei sono solidi quanto quelli Usa, ai quali peraltro fanno una grande concorrenza su tutti i mercati mondiali, una discesa ulteriore dei prezzi si trasforma in un’ottima opportunità di acquisto, soprattutto nel medio lungo periodo, quando la situazione si sarà stabilizzata”.
I rischi sono uguali per tutti
Il problema, per un investimento nell’health care, semmai, risiede nella scadenza di alcuni importanti brevetti che le aziende europee, così come le concorrenti americane, stanno affrontando. “In passato le aziende erano in grado di gestire bene questo inconveniente, grazie al lancio di nuovi prodotti che avevano in cantiere”, spiega il report di Conover. “Ora questo è più difficile. Soprattutto negli Stati Uniti. La Food&Drug Administration (FDA, l’ente che in Usa autorizza la vendita dei medicinali) dopo gli scandali del passato è diventata più prudente nel dare il via libera ai nuovi trattamenti. Alla lunga, comunque, i prodotti che lo meritano arriveranno sui banchi delle farmacie. Passata questa fase, ci aspettiamo buone notizie dal fronte dei bilanci”.
Meglio i big
Dal punto di vista operativo, l’analista consiglia di guardare soprattutto ai grandi nomi come Novartis, AstraZeneca e GlaxoSmithKline, tutte aziende che, pur avendo una buona esposizione sui mercati europei sono anche ben diversificate a livello globale. “La prima, in particolare, è molto interessante”, conclude Conover. “Ha un listino di nuovi prodotti da lanciare (la cosiddetta pipeline, ndr) molto ricco e prospettive di crescita che si avvicinano al 10% per i prossimi cinque anni. E’ simile all’americana Abbott, che è il miglior titolo in assoluto nel comparto pharma, ma ha valutazioni più basse”.
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