La strada delle banche è sempre difficile

Negli Usa pesano le incertezze legate alla riforma finanziaria. In Europa quelle dei Paesi più a rischio.

Marco Caprotti 06/09/2010 | 15:59
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Il comparto finanziario si prepara a un nuovo periodo di incertezza. E la Borsa, abituata ad anticipare i cicli, si sta già attrezzando. L’indice Msci del settore, a livello mondiale, nell’ultimo mese (fino al 4 settembre e calcolato in euro) ha perso circa l’1,2%. In effetti, le questioni spinose che le banche dovranno affrontare nei prossimi mesi sono molte.

Cinque anni per la rivoluzione
Negli Stati Uniti la più importante è quella della riforma finanziaria voluta dal presidente degli Stati Uniti e che, secondo l’opinione degli analisti, inciderà profondamente sulla vita e sulla politica aziendale degli istituti di credito. “La nuova normativa conterrà almeno 200 nuovi regolamenti che avranno bisogno di almeno cinque anni per essere elaborati”, spiega una nota di Morningstar. “In una situazione del genere le implicazioni per ogni singola banca sono ancora incerte e varieranno da gruppo a gruppo”.

Gli effetti della ‘Volker Rule’
Uno dei provvedimenti più discussi è la cosiddetta Volker Rule che impedisce alle banche di fare trading in proprio e ne limita la facoltà di fare investimenti attraverso strumenti come gli hedge fund e i fondi di private equity. “L’impatto sarà minimo per gli istituti regionali che non hanno l’abitudine a fare questo tipo di operazioni”, continua la nota. “Problemi grossi, potrebbero invece esserci per i grandi gruppi che, per rimpolpare i loro bilanci, hanno sempre operato sui mercati come qualsiasi altro investitore. Goldman Sachs potrebbe registrare una riduzione degli utili di 1,5 miliardi di dollari. JP Morgan Chase e Bank of America, invece, dovrebbero fare a meno di circa mezzo miliardo di dollari ciascuna”.

Goldman Sachs si starebbe già muovendo su questo fronte. Secondo alcune voci circolate nei giorni scorsi la merchant bank avrebbe intenzione di chiudere il ramo d’azienda che si occupa del proprio trading. Lo staff che lavora negli Stati Uniti sarebbe riassorbito all’interno della società, mentre quello che opera in Asia si starebbe già organizzando per abbandonare la banca e mettere in piedi un hedge fund.

Soliti dubbi per l’Europa
L’ombra della crisi del debito sovrano europeo, intanto, continua ad aleggiare sugli istituti del Vecchio continente. I risultati trimestrali, dicono tuttavia gli analisti, stanno mostrando un assestamento della situazione. “Questo è vero soprattutto per le banche che hanno attività molto diversificate che hanno registrato un aumento dei volumi di business soprattutto nel segmento dell’investment banking”, continua lo studio di Morningstar. Questa attività, ad esempio, ha contribuito all’82% dei profitti lordi di Deutsche Bank, all’86% di quelli di Barclays e al 50% circa di quelli d UBS e Credit Suisse.

La situazione dei governi più a rischio e dei loro bond, tuttavia, condiziona l’andamento delle banche europee. “Molti istituti continuano ad avere delle scarse riserve create per scopi generici”, dice il report. “Si decidono a creare un fondo corposo soltanto quando si materializza una crisi del credito. Un sistema che, come nella tempesta appena passata, ha dimostrato di non funzionare”. Una strategia di questo tipo, insomma, rischia di avere impatto sui prossimi conti trimestrali. Soprattutto se la situazione creditizia dei Paesi più a rischio non dovesse migliorare. “In generale, quindi, le banche europee continueranno a registrare profitti. Più difficile è prevedere se saranno superiori a quelli dei trimestri precedenti”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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