I maghi degli acronimi possono mettersi al lavoro. Se la Francia non cambierà direzione, presto potrebbe aggiungersi una “F” ai Pigs (la sigla indica i Paesi con il più alto rischio sovrano). Economisti e strategist non ne fanno mistero: il debito d’oltralpe non è da tripla A (il livello più alto di giudizio), come dicono le agenzie di rating.
La Francia spende troppo
Per Fabrizio Quirighetti, capo economista di Banque Syz&Co, i fondamentali francesi sono da doppia A. “Ad eccezione del periodo che va da 1997 al 2001, il deficit pubblico primario (che non considera gli interessi sul debito) è sempre stato negativo dal 1992 ad oggi", dice. "Questo significa che le uscite sono superiori alle entrate fiscali”.
I francesi, però, non sembrano preoccupati, lamentano gli esperti, e continuano a spendere, così il deficit aumenta. Attenzione, la situazione non è grave come quella spagnola o greca, ma il vero problema è che l’investitore che acquista un titolo di Stato francese non è pagato per il rischio che corre.
Intendiamoci, Parigi non ha il livello di debito di altri Paesi, ma il fatto che non prenda provvedimenti non piace agli investitori. “L’Italia ha una massa di debito maggiore”, spiega Quirighetti, “ma il deficit primario è positivo dal 1993, perché Roma ha preso provvedimenti per contenere lo squilibrio del bilancio pubblico. Inoltre, è meno vulnerabile agli umori degli investitori esteri, in quanto solo il 20-25% dei suoi titoli di Stato è in mani non italiane; a differenza della Francia (65-70% all’esterno)”. Anche il Regno Unito ha un fardello pubblico enorme, ma almeno ha mostrato buona volontà presentando un rigoroso piano di risanamento.
La scala del debito
Su un’ideale scala che va dal Paese europeo più sicuro al più rischioso, solo la Germania, l’Olanda e la Finlandia si collocano all’estremo più virtuoso, seguono Francia, Belgio e Austria e chiudono, nell’ordine, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia. In particolare, si legge in una nota di Axa Investment managers, Lisbona rischia di cadere in recessione a causa degli effetti negativi delle misure di austerità fiscale, in un contesto dove l’indebitamento continua a crescere e le esigenze di finanziamento a breve sono elevate per cui il governo potrebbe dover ricorrere all’aiuto dell’Europa e del Fondo monetario internazionale.
Rischio di credito
In generale, la situazione del Vecchio continente non appare rosea. “Gli spread dei titoli dei Paesi periferici rispetto al Bund tedesco continuano ad essere ampi”, dice Andrew Balls, capo del team di investimento europeo di Pimco (gruppo Allianz). “Le performance di questi titoli riflettono sempre più il rischio di credito (tipico delle economie emergenti) e sempre meno quello legato alle variazioni dei tassi di interesse”. Secondo Balls, l’area Euro “sta affrontando le conseguenze di un’unione valutaria senza unione politica”. Inoltre l’austerità fiscale rappresenta una seria minaccia alla crescita, aprendo la strada a uno scenario di deflazione, anche perché la Banca centrale europea, a differenza dell’allentamento quantitativo della Federal Reserve, non agisce da stimolo all’economia.
Nonostante le difficoltà del Vecchio continente, l’euro si è apprezzato negli ultimi mesi. “Sui mercati è tornato un po’ di ottimismo”, spiega Balls. “Ma non bisogna farsi trarre in inganno. La forza della moneta unica è l’effetto della svalutazione competitiva che stanno facendo altri Paesi, con in testa gli Stati Uniti, non di un miglior quadro fondamentale”.
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