C’era una volta il fondo bilanciato. La sua struttura era semplice, perché il patrimonio era più o meno equamente diviso tra azioni e obbligazioni. Poi sono nati tanti “bilanciati”: moderati, prudenti e aggressivi. E qui la storia sembrava finita. Negli ultimi tre anni, i riscatti hanno superato i 10 miliardi e un’altra decina di miliardi se ne erano andati prima della crisi finanziaria.
Il ritorno degli investitori
Ma nel 2010 qualcosa è cambiato. Sono tornate le sottoscrizioni (quasi 3 miliardi tra gennaio e settembre, secondo la mappa trimestrale di Assogestioni) e si sono affacciati nuovi prodotti. Sulla loro carta d’identità, però, non c’è scritto “bilanciato”, ma sempre più frequentemente “allocation”.
La storia non sarebbe completa se non si aggiungesse un ulteriore tassello, il Carmignac Patrimoine (non compreso nelle statistiche di Assogestioni). Il fondo ha avuto flussi record negli ultimi anni. Solo nel 2010, secondo le stime di Morningstar, ha raccolto quasi 10 miliardi a livello europeo. A molti investitori delusi dai “vecchi” bilanciati, ha mostrato che questo tipo di strategia può dare dei buoni risultati nel tempo. La differenza è nella gestione realmente attiva, che è in grado di aggiungere valore rispetto alla passiva replica del benchmark (il rovescio della medaglia è che se le scelte non si rivelano corrette, l’investitore può incorrere in perdite maggiori).
Generazione allocation
La nuova generazione di bilanciati fa perno sulla costruzione di un portafoglio che permetta di passare in modo indenne le diverse fasi dei mercati, in un contesto in cui la volatilità è diventata la normalità. Le direttrici principali sono due, una strategica; l’altra tattica. Nel primo caso, il gestore cerca di ottenere lo stesso contributo al rischio da parte delle diverse classi di attivo, azioni, obbligazioni e oggi anche le commodity. L’obiettivo è quello di far sì che il portafoglio resista e sia in grado di creare valore, mantenendo una bassa correlazione rispetto agli indici di mercato.
Per queste strategie, utilizzate ad esempio in alcuni prodotti di Invesco e BG Sicav, il punto di partenza è la volatilità. Inizialmente i pesi delle diverse asset class sono fissati in modo da fornire un analogo contributo al rischio; poi il team di gestione adatta il portafoglio alle diverse fasi del ciclo.
La seconda direttrice è nota come Global tactical asset allocation, un concetto diffuso tra gli investitori istituzionali, meno tra quelli retail. In questo caso, impiegato ad esempio da alcuni prodotti di Barclays e Credit Suisse, i gestori cercano di individuare le inefficienze del mercato di breve termine e trarne vantaggio. L’approccio è di tipo top-down, ossia parte dall’analisi di fattori macroeconomici, finanziari e tecnici che influenzano i rendimenti e allontanano i mercati dalla loro situazione di equilibrio.
Non chiamateci absolute
Queste tipologie di prodotti rientrano nelle categorie bilanciate di nuova generazione, come si può vedere anche dalla classificazione Morningstar e non in quelle absolute return. Rispetto ai fondi a ritorno assoluto differiscono perché non si confrontano con il mercato monetario, ma con un portafoglio diversificato su più classi di attivo (azioni, bond, ecc.). In altre parole, l’obiettivo non è quello di rendere qualche punto percentuale in più rispetto a un indice privo di rischio (risk free) e quindi la promessa non è quella, più facile da dire che da praticare, di dare sempre rendimenti positivi, ma il fine è quello di contenere le perdite e partecipare alle fasi espansive.
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