27 maggio. Madrid, Puerta del Sol, la piazza che è il centro della vita cittadina, è occupata da tende e gazebo di fortuna, sui quali sono appesi striscioni e manifesti di protesta contro la classe politica e la situazione economica. Anche sulle grandi pubblicità che coprono i palazzi in ristrutturazione sono appiccicati lenzuoli con messaggi di disapprovazione per come vanno le cose in Spagna. Tutt’intorno i blindati della polizia, anche se non ci sono segnali di tensione. Gli indignados, giovani disoccupati, precari o studenti che non vedono per loro grandi sbocchi professionali in un Paese dove i senza-lavoro sono il 21% della popolazione (45% tra le nuove generazioni), sono accampati alla Puerta del Sol, dopo aver trasformato in un sit-in permanente le manifestazioni pre-elettoriali (il 22 maggio c’è stato il voto amministrativo che ha inflitto un duro colpo al governo Zapatero).
Il movimento degli indignados, così definito prendendo a prestito il titolo del pamphlet “Indignatevi!” del politico e scrittore francese Stéphane Hessel, uscito nell’ottobre 2010, chiedono riforme, crescita e lavoro. Sono il volto della Spagna di oggi, che fa i conti con i postumi dello scoppio della bolla immobiliare, un alto tasso di disoccupazione, basse prospettive di sviluppo, un deficit pubblico del 9,2%, un indebitamento delle famiglie pari all’83% del Pil (Prodotto interno lordo), livello che per le imprese (escluse le banche) sale all’87%.
La Spagna non piange da sola
La Spagna è un Piigs (acronimo di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), uno dei venti Paesi al mondo con il più alto rischio di default. Il rapporto tra il debito e il Pil è del 75,9%, un valore elevato, anche se migliore dell’Italia (118%), che però ha un deficit più basso (4,6%) e della Grecia (145,5%). Soffre la debolezza del governo centrale, che ha uno scarso controllo sulle regioni autonome e del ritardo nell’attuazione di riforme strutturali per rendere più efficiente il mercato del lavoro e aumentare la produttività. Inoltre, non ha ancora smaltito gli effetti della bolla immobiliare sui conti delle banche, le quali devono far fronte a un incremento dei costi per finanziarsi. Di fronte a sé ha prospettive di crescita contenute, quando invece avrebbe bisogno di sviluppo, perché il rigore fiscale non basta a risanare la sua situazione.
Lo spazio per l’ottimismo non è molto a sentire Luis De Guindos Jurado, direttore del centro PwC/EU per il settore finanziario di Madrid, ospite dell’Oyster Day, che si è tenuto nei giorni scorsi nella capitale spagnola. Ci sono molte incognite sulle procedure di ristrutturazione del debito del meccanismo di stabilità europeo (European stability mechanism). Inoltre, la Spagna non è la sola a soffrire; al contrario ci sono altri Paesi in grande difficoltà. La Grecia, cuore della crisi, ha un debito insostenibile, l’Irlanda è schiacciata dagli squilibri di bilancio delle banche, il Portogallo è al sicuro ma solo fino al 2013 non nel lungo periodo e l’Italia ha una crescita troppo debole. Insomma, il default, anche di un solo Paese, potrebbe innescare un effetto domino sull’intera area Euro.
Oggi la frantumazione di Eurolandia appare improbabile, ma nessuno si sente di escludere che il rischio possa aumentare nel tempo, portando con sé insoddisfazione, rabbia e proteste. Gli indignados spagnoli (ma non solo) sono per il momento un movimento pacifico di giovani che chiedono di avere un futuro. Un futuro che l’area deve perseguire in modo congiunto perché i costi di una rottura sarebbero troppo alti per tutti.
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