È stata la volatilità la cifra stilistica che ha caratterizzato il mercato Usa nelle ultime settimane. In un mese (fino al 6 settembre e calcolato in euro) l’indice Msci North America ha perso l’1,2% dopo una serie numerosa di alti e bassi. Nel dettaglio, il paniere S&P500 si muove in un sentiero delimitato dai livelli di 1.100 punti (minimo toccato il 9 agosto) e 1.250 (che dal punto di vista dell’analisi tecnica prima rappresentava un supporto e oggi viene considerato una resistenza da sfondare).
Recessione? Non è detto
A determinare il nervosismo degli investitori – e quindi la volatilità – sono le preoccupazioni legate alla situazione del debito in Europa e negli Stati Uniti. Anche la situazione congiunturale gioca la sua parte. Gli ultimi dati dicono che il Pil Usa nel primo semestre dell’anno è cresciuto di circa l’1%, un tasso appena superiore al livello di stallo e che contribuisce a fomentare i dubbi sulla ripresa economica.
La maggior parte degli economisti, tuttavia, preferisce non parlare di una possibile nuova recessione. Altri dati, infatti, suggeriscono che la situazione non sia così nera come si può pensare a una prima analisi superficiale. Da gennaio a giugno i guadagni lordi degli americani sono cresciuti più del Pil. Questo indicatore viene ritenuto valido tanto quanto il Pil e, secondo gli operatori, la differenza fra i due indica che la lettura della ricchezza nazionale possa essere rivista al rialzo. Inoltre, per parlare di recessione, bisognerebbe vedere un forte aumento delle richieste di disoccupazione unita a un calo degli investimenti e dei profitti aziendali. Tutte condizioni che, almeno nelle ultime settimane, non si sono verificate.
Un’altra notizia positiva è arrivata dal National Activity Index elaborato dalla Federal Reserve di Chicago (raccoglie 85 indicatori nazionali che vanno dalla produzione, all’impiego, passando dai consumi e dalle vendite) che è passato dal -0,38 di giugno al -0,06 di luglio, un livello appena al di sotto della media di lungo termine.
L’atteggiamento della Fed
I riflettori degli operatori, intanto, sono puntati sulla Federal Reserve per cercare di interpretarne le mosse. Nel discorso tenuto alla conferenza annuale della Banca centrale americana il suo presidente Ben Bernanke non ha parlato esplicitamente di un nuovo piano di stimolo all’economia (il Quantitative Easing III), ma non ha nemmeno escluso la possibilità di ricorrervi. “La Federal Reserve ha una serie di strumenti che possono essere usati per dare aiuto”, ha detto Bernanke. Il numero uno della Fed ha approfittato del suo intervento per mettere fretta a Washigton nella ricerca di una soluzione per il problema del deficit nazionale.
Da parte sua, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha fatto capire di non essere contrario a un nuovo piano di aiuto all’economia, soprattutto se portasse alla creazione di nuovi posti di lavoro. Nel frattempo il super-comitato incaricato di identificare le strategie per la riduzione del debito ha fatto sapere di essere vicino a una soluzione che dovrebbe essere presentata a breve.
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