Nel puzzle che gli operatori economici e i giornali finanziari cercano di ricomporre per illustrare la crisi mondiale attuale manca un pezzo. Il tassello della debole ripresa americana si incastra con quello della crisi del debito in Europa e con quello della difficile situazione delle banche. Tutto questo, però, dà un’immagine parziale della tempesta che stanno attraversando i mercati globali. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la World Bank, il pezzo mancante è quello delle rivolte che stanno attraversando il nord Africa e il Medio oriente (la cosiddetta area Mena, l’acronimo formato da Middle East e North Africa). E’ vero che gli scontri che si stanno verificando in Libia contro la ultraquarantennale dittatura di Muhammar Gheddafi hanno riportato alla ribalta la questione di quella che viene chiamata Primavera araba. Ma, nella maggior parte dei casi, se ne parla solo dal punto di vista politico, tralasciando gli aspetti economico-finanziari.
Per la Banca mondiale, ad esempio, gli alti prezzi delle commodity energetiche e le scarse riserve di cibo sono le due grandi questioni irrisolte nell’area Mena. E anche se la domanda di petrolio da parte delle economie sviluppate si sta riducendo a causa del rallentamento globale, la situazione dei prezzi resta molto volatile a causa degli scontri politici in alcuni paesi arabi che sono fra i maggiori produttori di oro nero.
Problemi per molti…
I problemi non riguardano solo l’Africa del Nord. Il Sud Africa, ad esempio, sta affrontando un’ondata di scioperi che tocca tutti i comparti industriali del paese e che sta mettendo a dura prova la fiducia degli investitori internazionali. Difficoltà stanno emergendo anche in Israele: dopo una crescita del Pil del 4,7% registrata nel primo trimestre, la congiuntura del paese ha perso smalto segnando +3,3% nel periodo aprile-giugno a causa di un calo della domanda interna e delle tensioni negli stati confinanti che aumentano il senso di incertezza legato all’andamento dell’economia globale. La Banca centrale locale ha quindi abbassato le stime per il 2011 che ora parlano di un +4,8% contro il precedente +5,2%. Fra gli stati più direttamente coinvolti nei disordini, l’Egitto deve fare i conti con il progressivo prosciugamento degli investimenti esteri e il calo del turismo che, secondo l’Ufficio nazionale di sviluppo, a luglio è sceso di quasi il 20% rispetto allo stesso mese di un anno fa. A questo è corrisposto un calo quasi uguale della ricchezza delle famiglie.
…ma non per tutti
Non mancano le notizie positive. Il Marocco sta lavorando a una serie di riforme che dovrebbero portare alla stabilità finanziaria del paese. La Giordania, intanto, sta discutendo la sua entrata nel Gulf Cooperation Council (GCC, l’organismo creato nel 1981 con lo scopo d’assicurare la stabilità economica e politica della regione e l’unificazione del sistema economico e finanziario dei membri. Ne fanno parte Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti). L’Fmi ha recentemente alzato le previsioni di crescita del Pil per gli stati del GCC, portandolo dal +5,2% al +7,8%. Resta da vedere quanto la Giordania riuscirà ad approfittarne.
Più in generale, secondo lo studio della Banca mondiale le previsioni di breve termine dell’area Mena continuano a restare incerte a causa delle tensioni socio-politiche che stanno attraversando la zona. I paesi della regione nel 2010 hanno registrato una crescita media del 3,9% e, prima del divampare dei disordini, era atteso un progresso del 4,8% sia nel 2011 che nel 2012. Le ultime stime adesso parlano di un +1,9% per quest’anno che dovrebbe diventare il 4% nel 2013 quando si faranno rivedere sia la fiducia degli investitori che gli investimenti stranieri.
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