Chi sperava che con la ripresa autunnale arrivasse un po’ di calma sui mercati mondiali è rimasto deluso. L’indice Msci World, nell’ultimo mese (fino al 3 ottobre e calcolato in euro) ha perso il 2,1%, seguendo, di fatto, il cammino segnato non solo nell’ultimo trimestre (-12,7%), ma da inizio anno (-15,1%).
Anche nelle settimane scorse a dominare le cronache finanziarie sono stati i problemi legati al debito governativo di alcuni paesi dell’Europa e il deficit degli Stati Uniti. Ma è stato soprattutto il Vecchio continente a fare venire la tremarella agli investitori. Prima con una serie di piani per salvare gli stati periferici che non hanno convinto nessuno e poi con le crescenti preoccupazioni per il comparto bancario (soprattutto francese) che hanno fatto precipitare le quotazioni dei titoli finanziari. A calmare la situazione non sono serviti (se non per breve tempo) gli interventi di alcune Banche centrali per facilitare i prestiti in dollari degli istituti di credito, né i nuovi piani di austerità portati avanti dalla Grecia. “La domanda che si pongono tutti è se l’Eurozona sia veramente in grado di risolvere la crisi e riportare l’area sulla strada della crescita”, spiega uno studio firmato da Jeremy Glaser, analista di Morningstar.
Le inquietudini macro
I dati macroeconomici, nel frattempo, hanno buttato benzina sul fuoco delle inquietudini degli operatori internazionali. Certo, non ci sono stati segnali che gli Stati Uniti (che restano l’economia di riferimento a livello globale) siano sull’orlo del collasso, ma non è nemmeno arrivata nessuna indicazione su una ripresa robusta. La crescita dell’occupazione, quando va bene, è debole, i dati sulla produzione mostrano parecchie incertezze e il mercato del real estate (da dove era partita la crisi nel 2007) non sembra volersi decidere a ripartire. Le notizie positive che arrivano dagli Usa sono la sostanziale tenuta delle spese personali e l’inflazione che resta sotto controllo. Tengono, o almeno ci provano, i paesi emergenti, anche se stanno iniziando a pagare il fatto di essere mercati a rischio per definizione.
Va decisamente meglio sul fronte aziendale: aver stretto la cinghia durante la crisi dei subprime e aver puntato molto sui mercati emergenti sta permettendo a molte società di attraversare in relativa tranquillità la tempesta grazie a strutture più snelle e a una diversificazione geografica della domanda. Gli operatori, tuttavia, si domandano quanto questa situazione potrà durare, visto che la crisi del debito in Europa sta portando a un rallentamento della congiuntura globale dalla durata incerta.
Un effetto secondario della crisi dei mercati è stato la cancellazione di molti debutti che gli operatori attendevano con ansia. Fra questi, quello della società Internet Groupon (sul quale, peraltro, anche la Sec aveva qualcosa da ridire a causa di alcune pratiche contabili poco chiare), della squadra inglese di calcio Manchester United e della potente holding americana Carlyle. “La speranza è che possano approdare in Borsa entro la fine dell’anno”, dice Glaser. “Ma tutto dipenderà dalle condizioni dei mercati”.
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