I mercati asiatici non riescono a trovare la strada per la ripresa. L’indice Msci della regione (Giappone escluso) nell’ultimo mese (fino al 25 novembre e calcolato in euro) ha perso il 3,6%, portando a -21,4% la performance da inizio anno. A frenare le piazze finanziarie della regione concorrono due elementi. Il primo è rappresentato dalle difficoltà incontrate dai mercati occidentali che rappresentano il naturale punto di sbocco per economie che vivono soprattutto di esportazione. Il secondo dipende direttamente dall’andamento della Cina (il motore economico della regione) i cui umori incidono anche sulla fiducia di chi vuole investire in Asia.
La frenata del Drago
E i segnali che arrivano dal Paese del Drago per il momento non sono confortanti. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica le imprese cinesi a ottobre hanno registrato (mediamente) una crescita dell’utile netto del 12,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un tasso che farebbe fregare le mani a una qualsiasi azienda americana o europea ma che, nel caso del colosso asiatico, stride con il +27% segnato ogni mese da gennaio a settembre del 2011. Anche in questo caso, una parte della responsabilità va attribuita al calo della domanda da parte di Usa e Vecchio continente. Ma a questo elemento va aggiunta anche una componente domestica. Da tempo, infatti, Pechino sta cercando di raffreddare una congiuntura che, nel 2010 è cresciuta del 10,4%, mentre nel terzo trimestre di quest’anno ha fatto segnare +9,1% per evitare una crescita fuori controllo dell’inflazione.
L’atterraggio può essere duro
Per fare questo il governo ha introdotto una serie di misure fiscali per cercare di calmare la speculazione immobiliare. Ma si tratta di un gioco pericoloso. Un atteggiamento eccessivamente rigido da parte delle autorità potrebbe tradursi in quello che gli economisti chiamano hard landing (letteralmente atterraggio duro, si dice così quando un’economia passa direttamente da una fase di espansione a una di recessione). Secondo i calcoli degli economisti, per evitare una situazione del genere la Cina deve continuare a crescere a un tasso superiore all’8%.
Secondo i dati del Ministero dell’industria e dell’information technology il Pil quest’anno potrebbe aumentare del 9,2% e segnare un nuovo rallentamento l’anno prossimo a causa delle difficoltà (create dall’esecutivo) che incontrano imprese e famiglie nell’ottenere dei prestiti, ma anche dell’aumento dei costi del lavoro e delle materie prime. La Banca popolare cinese ha comunque lasciato intendere che utilizzerà le manovre sul costo del denaro per far viaggiare al ritmo giusto la congiuntura.
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