Nelle ultime settimane i mercati mondiali hanno vissuto di speranze. In un mese (fino al 19 dicembre e calcolato in euro), l’indice Msci World ha segnato +1,9% (la performance da inizio anno è comunque negativa dell’8,6%). A spingere il listino sono state le attese su un piano più esaustivo per affrontare la crisi del debito governativo in Europa e alcuni dati congiunturali migliori delle attese arrivati dagli Stati Uniti.
In particolare i numeri del Pil (Prodotto interno lordo) del terzo trimestre in Usa sono stati superiori alle attese e hanno permesso di superare la paura di una recessione nella prima economia mondiale e il conseguente calo della domanda a livello mondiale. Il Giappone, intanto, nonostante alcuni alti e bassi sta dimostrando di sapersi riprendere dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, c’è stato un raffreddamento dell’attività economica, ma la crescita congiunturale in stati chiave per la ripresa globale come la Cina e l’India resta comunque solida. Il calo dell’inflazione che si sta vedendo in queste ultime settimane dovrebbe permettere alle banche centrali di prendere decisioni più accomodanti. “La questione dell’aumento dei prezzi al consumo, tuttavia, continuerà ad essere rilevante”, spiega uno studio della società di consulenza Thomas White International (Twi). “Il calo al quale stiamo assistendo potrebbe avere vita breve, ora che i prezzi delle materie prime stanno imboccando la via del rialzo”.
Banche centrali in aiuto dell’Europa
Per quanto riguarda il Vecchio continente (che resta la questione principale con cui devono fare i conti gli investitori), le ultime settimane sono state caratterizzate da un mix di cattive e buone notizie. Fra le prime bisogna senz’altro ascrivere l’incapacità della politica di affrontare la questione in maniera decisa. I vari meeting fra i leader dell’Unione si sono conclusi con dei nulla di fatto per poi arrivare alla ritirata dell’Inghilterra che ha annunciato di non voler contribuire al fondo salva-euro. Una decisione che potrebbe creare un pericoloso precedente, spingendo altri paesi che non fanno parte della zona della moneta unica a defilarsi.
Fra le buone notizie si deve inserire la decisione presa a fine novembre da sei delle maggiori banche centrali mondiali guidate dalla Federal Reserve che hanno deciso di aumentare la concessione di dollari agli istituti europei, abbassando nel contempo il costo dei prestiti. Un’operazione che non è stata pensata per risolvere il problema principale che stanno affrontando i paesi del Vecchio continente (la crescita dei tassi di interesse che devono pagare quando emettono bond sovrani per finanziarsi), ma che ha aiutato a far passare un po’ la paura che le banche europee (piene di obbligazioni dei paesi a rischio) possano da un giorno all’altro finire a gambe all’aria.
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