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I consumatori tengono l'Europa al palo

L'andamento delle spese e i dati sull'occupazione certificano il rallentamento dell'area. Che rischia di frenare il resto del mondo.

Marco Caprotti 12/01/2012 | 14:14
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Per capire dove va l’Europa bisogna sapere quanto spendono gli europei. Uno dei fattori fondamentali che spingono un’economia, spiegano i libri di testo, è il comportamento dei consumatori. E comprendere le abitudini di spesa, incrociandole con i dati sull’occupazione può essere molto utile per intuire come il consumatore medio reagisce nell’arena economica globale. Quando le cose vanno male dal punto di vista macroeconomico i cittadini spendono di meno, mentre nei momenti buoni mettono più volentieri mano al portafoglio.

Partendo da questo principio i dati che derivano dalle abitudini dei consumatori possono diventare un buon indicatore per disegnare l’andamento futuro di una regione.

Brutta foto dell’Europa
Per quanto riguarda l’Europa, gli ultimi dati del Consumer price index (CPI) non hanno entusiasmato. Gli operatori si aspettavano una crescita vicina al 3%, mentre la lettura ha dato +2,8%. Va aggiunto che un andamento positivo del Cpi, indica che le aziende fanno pagare ai clienti finali più di quello che ci si aspettava. In pratica indica che i clienti sono disposti a pagare di più per lo stesso bene rispetto ai periodi precedenti. Il fatto però che le attese fossero più alte del risultato reale, indica che le cose non stanno andando come si sperava e gli investitori potrebbero essere costretti a rivedere le proprie strategie. Percentuali basse, inoltre, mostrano che gli individui si stanno preoccupando sempre di più per la situazione congiunturale e rinunciano a spendere soldi per beni o servizi che non ritengono necessari. Un atteggiamento che è stato fotografato bene in Italia dall’ultimo Natale dove i consumi legati alle festività sono stati ai minimi da dieci anni. I dati dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori indicano una spesa nazionale di 4 miliardi di euro, contro i 4,4 previsti. Unico settore merceologico in crescita è stato quello tecnologico, in miglioramento dell’1% rispetto al 2010.

Anche gli altri numeri sulla congiuntura non portano buone notizie. Secondo gli ultimi dati dell’Eurostat, la fiducia dei consumatori a dicembre è scesa dello 0,7% rispetto al mese precedente. La disoccupazione ha toccato quota 10,3%. Anche la Germania, la prima economia della regione, intanto paga il rallentamento. Il quarto trimestre dell’anno ha registrato una contrazione dello 0,25% della ricchezza interna rispetto al trimestre precedente. Su base annua il Pil è cresciuto del 3% contro un più 3,7% dell’anno precedente. Il deficit del settore pubblico, è calato dal 4,3% del 2010 all’1%.

Dall’Europa al resto del mondo
La crisi debitoria che sta attraversando la zona Euro, inoltre, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), costituisce la principale minaccia all’economia mondiale. Per la zona Euro, la stima di crescita è stata ridotta all’1,6% nel 2011 e allo 0,2% nel 2012. Per gli Stati Uniti, 1,7% nell’anno in corso e 2% nel successivo. La zona Euro è insomma avviata a entrare in recessione. In assenza di un’azione decisa da parte dei governi della regione, l’Ocse vede il rischio di un andamento ancora peggiore. La Bce da sola non ha infatti il potere di contenere la crisi del blocco, che ha cominciato a lambire anche le economie più solide, come hanno dimostrato le difficoltà della Germania a collocare i propri titoli di stato.

Crescono le disparità
Un altro studio condotto dall’Ocse, intanto, dimostra che a partire dagli anni ‘80 il divario tra ricchi e poveri è aumentato in 17 paesi su 22. È necessario che il mercato del lavoro venga riformato e che si promuova una maggiore redistribuzione della ricchezza. “La disparità tra ricchi e poveri non è mai stata tanto alta negli ultimi 50 anni” ha spiegato Angel Gurria, Segretario generale dell’Ocse, illustrando i risultati della ricerca. Il reddito medio del 10% della popolazione più ricca è nove volte quello dei più poveri. Venti anni fa era sette volte maggiore”.

La tendenza è più evidente in Messico, Stati Uniti, Israele e Regno Unito. La disparità è rimasta stabile o è diminuita in Francia, Turchia e Grecia. Ad incidere in particolare è la concentrazione della ricchezza. In Italia come in Giappone, Corea e Regno Unito, la forbice è aumentata e il reddito dei più ricchi è ora dieci volte maggiore di quello dei più poveri. Il fenomeno interessa anche Paesi come la Germania, la Danimarca o la Svezia, tradizionalmente caratterizzati da un’economia sociale di mercato.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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