“Negli ultimi due anni, e ancora stanotte, ho imparato che maratona è davvero una parola greca”. Così Olli Rehn, Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari ha commentato la riunione dell’Eurogruppo che, dopo quasi quattordici ore di negoziati, ha raggiunto l’accordo per evitare il fallimento della Grecia, concedendo un secondo piano di aiuti da 130 miliardi ad Atene, ha studiato una linea di credito con la Bce (il fondo Salva-stati passerà da 500 a 750 miliardi di euro) e ha convinto gli investitori privati a rinunciare alla restituzione di una parte dei debiti ellenici che hanno in mano (ne prenderanno invece di nuovi). Resta da vedere se la corsa partita nel 2010 sia veramente arrivata alla fine e quali saranno gli effetti per gli investitori.
I dettagli del piano
Gli aiuti li sbloccheranno soprattutto gli stati membri dell’Eurozona, mentre il Fondo monetario internazionale (Fmi) deciderà definitivamente sul proprio contributo a marzo. Le condizioni dell’accordo sono rigide. Tra queste la stretta vigilanza della cosiddetta Troika (Ue, Bce e Fmi), i cui osservatori saranno presenti in modo stabile in Grecia per verificare la corretta attuazione del piano di risanamento. Gli investitori privati rinunceranno al 53,5% del loro credito. Il valore nominale della perdita che sarà registrata dagli investitori privati è di circa 205 miliardi di debito greco. Il 31,5% delle obbligazioni sarà sostituito da 20 nuovi titoli di stato greci, con scadenze da 11 a 30 anni. Il resto sarà convertito in titoli a breve scadenza emessi dall’Efsf (il fondo Salva-stati). I nuovi titoli saranno regolati dalla legge inglese.
I dubbi
La maratona apre comunque alcune questioni nuove. Il 90% degli investitori privati, secondo le regole dettate dalla procedura chiamata Psi (Private sector involvement) dovrà accettare i nuovi titoli (il cosiddetto bond swap), altrimenti la Grecia sarà costretta ad obbligarli entrando però in una palude legale. Anche l’intervento dell’Fmi non è scontato. Atene, infatti, dovrà essere in grado di dimostrare di essere in grado di portare avanti le ultime riforme di austerità approvate dal Parlamento. Uno sforzo non da poco in una situazione di rallentamento economico e di tensioni sociali. La congiuntura ellenica, secondo l’analisi della Ue e dell’Fmi, nel 2012 si contrarrà tra il 4,3% e il 4,8%. Lo scenario mostra che nel 2013 ci sarà il picco del debito al 168% del Pil. L’economia non tornerà a crescere fino al 2014. L’Fmi ha stanziato 13 miliardi e coprirà il 10% del pacchetto di aiuti. Il resto lo sborserà il fondo Salva-stati finanziato dai paesi dell’Eurozona. Nel primo salvataggio della Grecia (2010) da 110 miliardi, l’Fmi mise invece sul piatto il 33% delle risorse; l’Eurozona e la Ue il restante 67%.
“L’accordo Psi assicura che il settore privato subirà una perdita reale, mentre le banche centrali nazionali e la Bce non patiranno alcuna perdita”, dice una nota di Richard Woolnough, gestore del fondo M&G Optimal Income. “Non è negli interessi dei politici che le banche centrali si sobbarchino delle perdite in conseguenza ai prestiti fatti alla Grecia. Sono i politici che stabiliscono la struttura legale e regolatoria a sostegno e possono modificare gli obiettivi annunciati, ma anche cambiare le parti. Questa sproporzione implica che in futuro, dovesse ripetersi una crisi come quella greca, gli investitori privati saranno meno propensi a sostenere il travagliato debito governativo, e gli speculatori saranno ricompensati per essere stati corti su questa posizione. Ovviamente questo impatterà sulla sostenibilità delle finanze del governo nel momento in cui cercherà di generare fiducia nella propria capacità di rispettare i propri obblighi di debito. In parole povere, gli investitori che sono corti di debito greco faranno soldi, le autorità non subiranno danni, mentre il settore privato sì”.
Le scelte operative
Lo sforzo risicato dell’Fmi, dicono gli operatori, potrebbe suscitare il disappunto dei paesi dell'Eurozona nonché alimentare il sospetto, da parte dei mercati, di un crescente scetticismo dell’istituzione guidata da Christine Lagarde, sulle chance di risanamento della Grecia. Dubbi che, peraltro, ha alimentato lo stesso Fondo quando, all’indomani dell’accordo, ha pubblicato uno studio in cui ha sottolineato quali sono le difficoltà di un paese che cerca di risolvere una situazione finanziaria disastrosa senza poter contare sulla svalutazione valutaria.
L’accordo dell’Eurogruppo, insomma, sembra risolvere poco e pare lasciare i mercati nella situazione di incertezza che ha caratterizzato l’ultimo anno senza sapere se qualcuno andrà in default o abbandonerà l’Eurozona. Possibilità che, tuttavia, secondo gli operatori non deve spingere gli investitori a scappare. “La mia opinione è che ci si debba concentrare sulle valutazioni invece che sull’eventualità che qualcuno lasci la moneta unica”, spiega in una nota di Alan Chua, gestore di un portafoglio globale di Franklin Templeton Investments. “Queste ci dicono che i mercati stanno già tenendo in conto la possibilità che alcuni stati possano abbandonare l’euro. Per noi questa è un’opportunità: se ci saranno segnali che l’Europa sarà in grado di risvegliarsi, allora nessuno di questi paesi lascerà l’area. La conclusione è che ci sono margini di guadagno”. Un esempio dei prezzi scontati, secondo il gestore è rappresentato dalle banche. “Vengono trattate a livelli che si sono registrarti solo tre volte negli ultimi 100 anni”, dice. “A questi prezzi sono delle buone scelte”.
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